E se non ce lo mandasse indietro? Oggi Mario Draghi vedrà il presidente Joe Biden, e non è un mistero che il profilo del nostro premier entri a pennello negli abiti del segretario generale della Nato.
Sdraiato su Washington come uno zerbino, a suo tempo a libro paga dell’alta finanza Usa – è stato vice chairman della Goldman Sachs – capace di trovare più di dieci miliardi sull’unghia per aumentare la spesa militare italiana (cosa che avrebbe fatto senz’altro se Conte non l’avesse fermato), che gli manca a Mario nostro per sostituire il grigio Jens Stoltenberg, il cui mandato peraltro è scaduto?
E se a Biden hanno detto che ha usato il bazooka (poco importa se era quello monetario, non stiamo a guardare il capello), allora è cosa fatta. Certo, all’asse franco-tedesco (o a quel che ne resta) farebbe comodo una Nato più equilibrata tra gli interessi europei e quelli a stelle e strisce, come non è stato nella vicenda dell’Ucraina, ma quello che ci hanno venduto come l’uomo più rappresentativo delle cancellerie del Vecchio Continente, l’erede della Merkel e altre “menate” simili, alla fine garantirebbe tutti.
E se non è l’Italia, ma il mondo sotto le bombe che chiama, un civil servant può sottrarsi? Dunque mettiamo questa eventualità in conto, considerando le prime macerie della Nato targata Draghi: quelle di questa legislatura. Né Covid, né guerra, né Pnrr o inflazione convincerebbero i partiti a chinare il capo a chicchessia con le elezioni in primavera. E dunque, che si possa cambiare o meno la legge elettorale, si andrebbe finalmente al voto. Che gran favore che potrebbe farci Biden.