Un giorno Mario Draghi indossa l’elmetto, quello successivo lavora per la pace. Passano i giorni e appare sempre più complicato decifrare la strategia del governo italiano in relazione a questa delicata crisi internazionale.
Un giorno il premier Draghi indossa l’elmetto, quello successivo lavora per la pace
Del resto il premier non sembra fare granché per chiarirla visto che quando incontra Joe Biden si trasforma nel suo araldo – ribadendo l’impegno ad armare il Paese e ad armare l’Ucraina – mentre quando parla davanti ai colleghi dell’Unione europea (qui il video) usa toni ben più diplomatici parlando di razionalizzare la spesa militare e di fare il possibile per giungere al cessate il fuoco. Insomma un comportamento camaleontico che sta lasciando tutti basiti, tanto in Italia quanto a Bruxelles.
Intendiamoci subito, il premier ovviamente spera in una tregua ma non è ben chiaro come vuole ottenerla visto che le dichiarazioni che rilascia sembrano variare a seconda del proprio interlocutore. “Aiutare l’Ucraina vuol dire soprattutto lavorare per la pace” ha spiegato ieri il presidente del Consiglio intervenendo davanti alla plenaria del Parlamento Ue.
Parole rassicuranti che, però, non sembrano suffragate dai fatti visto che Draghi – materialmente – non ha fatto granché. A differenza di altri leader europei, in particolare il presidente francese Emmanuel Macron o il cancelliere tedesco Olaf Scholz, Supermario non è andato né a Kiev né a Mosca. E stando a quanto è dato sapere anche di telefonate, soprattutto con Mad Vlad che alla fine della fiera è l’unico che può mettere fine a questa tragedia, ne ha fatte davvero poche.
Insomma se “aiutare l’Ucraina significa lavorare per la pace”, allora il suo deve essere stato un incarico part-time. Sempre alla plenaria del Parlamento Ue ha spiegato che “la nostra priorità è raggiungere quanto prima un cessate il fuoco, per salvare vite e consentire quegli interventi umanitari a favore dei civili che oggi sono e restano ancora molto difficili”.
E ancora: “L’Europa può e deve avere un ruolo centrale nel favorire il dialogo”. Altra dichiarazione surreale visto che l’Ue, con unica eccezione la Francia, non solo non sta facendo nulla per riaprire il dialogo ma sta inviando armi a profusione all’Ucraina che non stanno favorendo la via diplomatica. Un ruolo da paciere che al momento nessuno sembra riconoscergli.
Di sicuro non viene percepito come tale dal ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, che ha detto chiaro e tondo (leggi l’articolo) che “l’Italia è in prima fila tra coloro che adottano e promuovono le sanzioni anti-russe. Per noi è stata una sorpresa. Eravamo abituati all’idea che l’Italia, grazie alla sua storia, sapesse distinguere il bianco dal nero”.
Non solo. Lo scorso aprile, intervistato sul Corriere della Sera, Draghi ha usato parole ben più dure – nulla di nuovo perché sono le stesse che pronuncia per strizzare l’occhio a Biden – affermando che “quello che ci aspetta è una guerra di resistenza, una violenza prolungata, con distruzioni che continueranno” aggiungendo che “la decisione di inviare armi è stata presa quasi all’unanimità in Parlamento. I termini della questione sono chiari: da una parte c’è un popolo che è stato aggredito, dall’altra parte un esercito aggressore. Per fermarlo bisogna aiutare direttamente gli ucraini ed è quello che stiamo facendo”.
Poche, invece, le parole di Draghi su un ruolo più attivo dell’Italia e dell’Ue nelle mediazioni: “Penso che Macron, nel ruolo di presidente di turno dell’Ue, faccia bene a tentare ogni strada di dialogo”. Poi, se non fosse abbastanza chiaro, ha concluso: “Comincio a pensare che abbiano ragione coloro che dicono: È inutile parlare a Putin, si perde solo tempo”.