di Alessandra Fassari
Doveva essere già firmato da un pezzo. Forse invece forse arriverà venerdì. Il decreto che sblocca la situazione dell’Ilva e di Riva Acciaio è ancora in mano ai tecnici del ministero dello Sviluppo Economico. Ieri però il ministro Flavio Zanonato ne ha anticipato un punto chiave: quando un magistrato sequestra ai fini della confisca un’attività produttiva, questa prosegue con il controllo di un custode e con la gestione che viene controllata da parte dei vecchi organi societari. Questo – ha detto Zanonato – per fare una cosa ovvia. Se si sequestra un’attività produttiva questa non si deve interrompere ma deve proseguire, a garanzia del lavoro e delle aziende fornitrici, di quelle clienti, che altrimenti si fermano e infine a garanzia sia dello Stato, che vuole confiscare non un rottame ma una cosa produttiva, sia dell’eventuale innocenza dell’imputato”, ha concluso.
La Procura dissequestra
Intanto la Procura della Repubblica di Taranto ha disposto il dissequestro delle materie sussidiarie e di consumo necessarie all’attività produttiva della Taranto Energia srl, una delle aziende i cui beni erano stati bloccati in base al provvedimento del gip del Tribunale di Taranto riguardante i beni del Gruppo Riva. Una istanza in tal senso era stata depositata nei giorni scorsi dai legali dell’azienda, che rifornisce di energia elettrica e termica lo stabilimento Ilva di Taranto. La Procura (il provvedimento è firmato dal procuratore Franco Sebastio, dal procuratore aggiunto Pietro Argentino e dai sostituti procuratori Mariano Buccoliero e Giovanna Cannarile) ha deciso nello stesso tempo il non luogo a provvedere circa l’istanza di dissequestro delle somme necessarie all’approvvigionamento del magazzino, al pagamento dei fornitori e dei dipendenti, dal momento che non risultano in sequestro somme di denaro e conti correnti con saldo attivo.
Mano più morbida
Somme di denaro, conti correnti, titoli, valori e ogni altro rapporto bancario e finanziario facente parte di complessi aziendali devono ritenersi beni compresi nel complesso aziendale essendo destinati all’esercizio dell’attività di impresa, già svolta in forma individuale o societaria e proseguita dall’amministratore giudiziario. Quindi non possono affluire al Fondo unico di Giustizia se non in occasione dell’eventuale liquidazione dell’azienda stessa. A precisarlo in una circolare la stessa Procura di Taranto firmata dal procuratore Franco Sebastio in relazione al sequestro effettuato nei giorni scorsi su beni e conti delle aziende del gruppo siderurgico Riva. In sostanza, con questa circolare la Procura sostiene che beni e titoli possono essere usati dall’amministratore giudiziario, il commercialista tarantino Mario Tagarelli, e che su di essi non vi è alcun blocco. Diversamente – ha affermato la Procura – risulterebbero impedite l’attività e la gestione imprenditoriali – con tutti gli adempimenti ad essa connessi – facenti capo all’amministratore giudiziario. Era stato il gruppo Riva nei giorni scorsi, in un vertice al ministero dello Sviluppo economico, a porre il problema dello sblocco dei conti affermando che questo costituiva la condizione essenziale per rimettere in moto l’attività negli stabilimenti e garantire dipendenti e fornitori. Timore del gruppo era infatti che i soldi bloccati dalla Guardia di Finanza all’atto del sequestro – ora contabilizzati in circa 56 milioni di euro – finissero nel Fondo unico di Giustizia privando così le aziende della necessaria liquidità per andare avanti.
Prime scarcerazioni
Intanto ieri è stata discussa davanti al Tribunale del Riesame della città jonica l’istanza di revoca degli arresti domiciliari per uno dei cinque fiduciari dell’Ilva, Lanfranco Legnani, arrestato il 6 settembre scorso nell’ambito di uno sviluppo dell’inchiesta “Ambiente Svenduto”. La decisione potrebbe giungere entro la fine della settimana. Per altri quattro fiduciari che si trovavano in carcere il Riesame ha deciso la trasformazione in arresti domiciliari.