Nello stantio dibattito pubblico italiano, che si perde tra persone che vedono putiniani dappertutto e complottisti che hanno traslocato le loro sfacciate bugie dai vaccini alla guerra, continua a mancare il punto più fortemente politico che dovrebbe chiarire le posizioni dei partiti e dei loro leader. Accanto al massacro di persone in Ucraina (che rimane il primo punto, quello più umano e terribile) la guerra di Putin è dichiaratamente un attacco all’Occidente e ai rapporti di forza internazionali. Putin vuole costruire un fronte con i Paesi che intendono modificare l’ordine internazionale creatosi dopo il 1989. Questa guerra, dal punto di vista politico, è già mondiale e globale e richiede ai partiti una precisa presa di posizione. Se possiamo dare per scontato che nessun leader italiano possa non stare dalla parte delle vittime (anche se varrebbe la pena ricordare che così non accade per altre vittime di altri conflitti) serve sapere, in fretta, se Meloni e Salvini (solo per citarne qualcuno) siano ancora d’accordo con l’idea di un Occidente che dovrebbe assomigliare alla visione del mondo che Putin propaga. Troppo facile prendere le distanze dall’uomo sperando di evitare il confronto sulle sue idee che fino a ieri erano appoggiate con forza.
Putin sta rafforzando il suo fronte con la Cina, Bielorussia, Brasile, Turchia, Ungheria, India, Sudafrica e Messico
Putin nei giorni del conflitto sta segnando amicizie e alleanze che parlano chiaro: è andato a Pechino per l’inaugurazione delle Olimpiadi con l’intento di blindare l’alleanze con la Cina, ha spedito il suo ministro degli Esteri Lavrov in India e coltiva i suoi rapporti con Sudafrica e Messico. Già da tempo si scambia effusioni con il presidente brasiliano Bolsonaro, è in rapporti più che ottimi con Erdogan (che intanto continua a essere infiltrato nella Nato) e simpatizza ricambiato con il leader ungherese Orban.
Immaginare che il conflitto sia circoscritto al confine ucraino significa non avere contezza dell’intensità con cui problemi di scarsità di cibo (Russia e Ucraina sono i principali esportatori di grano) impatteranno presto su decine di milioni di persone innescando quelle migrazioni forzate che tutti gli amici di Putin (tutti piuttosto debolucci per idea di democrazia) usano per accrescere il proprio potere. Oltre alla scarsità alimentare anche quella energetica è destinata a rendere fragili molti rapporti internazionali, coinvolgendo tra l’altro regimi tutt’altro che affidabili.
Proprio ieri Putin ha dichiarato che il suo Paese non teme l’isolamento perché «nel mondo moderno è impossibile isolare completamente un Paese vasto come il nostro. Questi tentativi dell’occidente si tenerci indietro sono destinati a fallire», ha spiegato. Ha pronunciato queste parole accanto al presidente bielorusso che intanto gli prometteva amicizia e alleanza eterna, mentre due giorni fa la Serbia (alleata di Putin) riceveva camionette d’armi dalla Cina.
I nostri politici dovrebbero dirlo chiaro e tondo: da che parte stanno?
Se i nostri politici la smettessero di fare i commentatori su Facebook e i coltivatori di indignazione e pietà a poche lire potrebbero (e dovrebbero) dirci a chiare lettere quale visione del mondo scelgono tra la democrazia occidentale (con tutti i suoi difetti e i suoi enormi limiti) e l’autarchia nazionalista che la Russia in questi anni è riuscita a infilare in giro per il mondo. Non è una domanda difficile, non c’è nemmeno da perdersi troppo in rivoli che vanno risolti (come il ruolo della NATO): vi assomiglia di più il mondo desiderato da Putin o il cammino intrapreso dall’Europa? Solo questa domanda, semplice semplice. La scappatoia della sineddoche (usare l solidarietà agli ucraini per raccontare il tutto) ormai non vale più. Il tempo è scaduto, la guerra è già dappertutto.