Sanzioni su gas e petrolio: perché l’embargo alla Russia non riesce a decollare nonostante le atrocità emerse con il massacro di Bucha?
Sanzioni su gas e petrolio, perché l’embargo alla Russia non inizia?
In seguito alla diffusione del massacro di Bucha, l’Occidente indignato ha annunciato un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia di Putin. In questo contesto, si era inevitabilmente posta la questione dell’energia in quanto era stato dato quasi per scontato che le nuove sanzioni avrebbero incluso anche l’embargo su importazioni energetiche dalla Russia. L’import di gas, petrolio e carbone valgono per Mosca circa ottocento milioni di euro al giorno. Per quanto il valore economico dell’import energetico sia fondamentale per il Cremlino, tuttavia, questo è altrettanto indispensabile per l’Unione Europea che, ancora una volta, ha deciso di non procedere con il blocco delle importazioni in campo energetico.
Sul mercato del gas, infatti, sono molti i Paesi dell’UE che pongono freni all’embargo: in primis Germania e Austria che si aggiungono all’Ungheria.
L’embargo, quindi, è stato indirizzato verso il carbone: una delle fonti fossili più inquinanti che, però, vanta un mercato globale particolarmente florido e dinamico. I possibili fornitori di carbone sono molteplici: oltre alla Russia, possono essere citati Paesi come Indonesia, Australia, Stati Uniti d’America, Colombia e Sud Africa.
In questo contesto, Berlino dovrà decidere se rinunciare al carbone russo e sostituirlo con quello più costoso importato, ad esempio, dall’Australia.
UE, l’ipotesi dei tecnici di Bruxelles sul petrolio
In materia di sanzioni su gas e petrolio, è proprio su quest’ultimo che l’UE potrebbe riservare le maggiori sorprese. I tecnici di Bruxelles stanno esaminando due differenti meccanismi da proporre durante l’incontro in calendario nella giornata di mercoledì 6 aprile.
La prima ipotesi sviluppata da Bruxelles riprende quanto adottato con le sanzioni emanate contro l’Iran e prevede che i pagamenti per il petrolio vengano effettuati mediante un conto vincolato. Nel caso dell’Iran, Teheran può accedere al denaro versato sul conto vincolato esclusivamente se il suo programma nucleare viene posto sotto il controllo internazionale. Analogamente, Mosca potrebbe accedere al fondo soltanto ritirando le truppe dall’Ucraina o attuando una tregua reale.
Il secondo meccanismo progettato dall’UE, invece, appare più strategico e si propone di fissare una tariffa sull’import del petrolio russo pari a circa il 10%. In questo caso, i produttori russi non potrebbero alzare il prezzo di vendita oltre le quotazioni internazionali in quanto i clienti europei potrebbero poi rivolgersi alle offerte più convenienti della Nigeria o del Golfo. La tassa modulabile sul greggio, dunque, si trasformerebbe in una forte pressione dell’UE su Mosca.