C’eravamo tanto armati ma alla fine non riusciamo mai a unirci nell’esercito europeo. Ogni volta che c’è una guerra da qualche parte (era accaduto anche con l’Afghanistan e ora con l’Ucraina), ogni volta che i signori delle armi spingono per staccare ancora più assegni, qualcuno prova a far notare che armare 27 eserciti in Europa è una follia.
Ogni volta che c’è una guerra da qualche parte si torna a parlare dell’esercito europeo
Non è questione di pacifismo, sarebbe una questione di razionalità e toglierebbe molti alibi a chi vuole ingrassare armi ed eserciti. Che di esercito europeo se ne parli fin dal 1954 (quando naufragò clamorosamente il progetto della Comunità europea della difesa) rende perfettamente l’idea di come l’argomento periodicamente ritorni senza mai un passo in avanti sostanziale.
In realtà un nucleo embrionale esiste già: sono gli European battlegroups istituiti nel 2007 e mai utilizzati in combattimento. Il primo nodo che bisognerebbe avere il coraggio di risolvere è la relazione strategica tra Ue e Nato (dominata dagli Stati Uniti): su 27 Paesi Ue ben 23 sono anche metri Nato (fanno eccezione Austria, Irlanda, Finlandia e Svezia).
Per l’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza comune Josep Borrell (nella foto) il rapporto tra Ue e Nato dovrebbe essere “stretto ma non troppo” e l’obiettivo dovrebbe essere un’autonomia strategica che permetta di difendersi anche senza gli Usa ma mentre la Francia di Macron (che definì la Nato “cerebralmente morta” nel 2019 anche se in molti sembrano averlo dimenticato) spinge per aumentare il peso dell’Ue nella Nato gli Stati dell’Europa centro-orientale frenano qualsiasi fuga in avanti che possa indebolire l’Alleanza atlantica.
Fortemente contrarii il Regno Unito (che dell’Unione europea comunque non fa più parte) e i Paesi Bassi e la Danimarca. Che gli Stati Uniti non vogliano un esercito europeo non c’è nemmeno bisogno di specificarlo.
Pesano poi i confliggenti interessi commerciali. In Francia, Germania, Italia e Spagna stanno le aziende che esportano il 68,4% della spesa militare europea e difficilmente riuscirebbero a trovare una sintesi comune sulla distribuzione delle eventuali commesse dell’Ue. Potremmo anche spingerci un po’ più in là ipotizzando che non siano nemmeno interessati a provarci. Esiste anche un nodo non sottovalutabile quando si parla di eserciti: chi comanda le truppe?
I Paesi Ue hanno divergenze che negli anni si sono inasprite, basti pensare a Italia e Francia sulla Libia o alle differenze tra Roma e Berlino sul Mediterraneo. Un esercito combatte insieme se ha un orizzonte comune che lo guida. Le forze armate non sono altro che uno strumento della politica estera e l’Ue sulla politica estera spesso non è unita per niente. Senza una visione comune tra l’altro diventa difficile immaginare una reale costruzione di una vera identità che convinca un soldato finlandese a indossare l’uniforme europea per andare a combattere
Immaginate poi le ambizioni personali e le gelosie degli Stati Maggiori militari e dei ministri degli esteri, veri e propri feudi inscalfibili: chi comanderebbe? Infine ci si dimentica sempre che i trattati Ue stabiliscono che in materia di difesa le decisione vanno prese con l’unanimità di tutti i Paesi membri. Qui si ritorna al punto di partenza: l’esercito unico europeo può arrivare solo dopo un’Europa unica nella politica estera, nella politica fiscale, nell’uguaglianza di diritti. Ci sarebbe da fare l’Europa, prima dell’esercito. Intanto nella disunità i signori della guerra incassano.