Ora che il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha aperto alla possibilità di procrastinare il traguardo del 2% del Pil in spese militari come richiesto dalla Nato, il clima all’interno del M5S pare tornato alla normalità. Ma dissidi e diversità di visioni continuano ad essere, com’è normale che sia, all’ordine del giorno. Con la conseguenza che la posizione dettata dal leader Giuseppe Conte non è l’unica, perché c’è chi vuole annullare e non solo rinviare la spesa bellica.
D’altra parte, non tutti nel M5S ritengono che le spese militari si possano cancellare.
“La ragione formale – spiega un deputato pentastellato vicino più a Conte che a Di Maio – è che ovviamente non si può retrocedere da impegni internazionali. Ma tutti sappiamo che è un alibi: la verità è che soprattutto chi è al governo o ci è vicino, non vuole perdere la posizione di prestigio conquistata”.
Il dubbio è più che lecito. Però le uniche dichiarazioni fatte da Di Maio dopo la rielezione di Conte – al di là di tante ricostruzioni giornalistiche – sono state di apprezzamento per il plebiscito raccolto tra gli iscritti. Segni che un grande chiarimento dopo lo strappo del Quirinale è possibile. Sulla vicenda della armi, tra l’altro, è dal 2014 che la Nato ci chiede di arrivare al 2% del Pil e mai c’è stata tanta premura. Certo, potrebbe obiettare qualcuno, ora è diverso col conflitto in corso nel cuore d’Europa. Ma è altrettanto vero che la maggior parte dei Paesi Nato non hanno mai obbedito alle richieste avanzate dal segretario generale.
Insomma, una richiesta evasa puntualmente dai Paesi membri. Non si capisce, dunque, come mai Mario Draghi si sia risvegliato d’un tratto interventista spinto. Fatto sta che, dopo le sue esternazioni e dichiarazioni, anche nel M5S c’è chi ha iniziato a pensare che forse alzare la spesa militare non è poi una cattiva idea.
C’è però da dire che al momento la maggior parte dei deputati e dei senatori è pienamente dalla parte di Conte. Bisogna però capire chi e quanti eletti sarebbero disposti a restare fermi sui princìpi anche nell’eventualità di un voto di fiducia sull’aumento di spesa senza rinvio (ipotesi ormai pressoché sfumata), e dunque di una conseguenziale fuoriuscita da governo e maggioranza. Al momento, infatti, chi è profondamente scettico che si arrivi a un tale scenario è Luigi Di Maio che, come si sa, è riuscito a creare un rapporto stabile e leale col premier Draghi. E come lui la penserebbero tutti i parlamentari vicini al ministro degli Esteri.
Scettici ovviamente sono anche tutti gli altri parlamentari che sono all’interno del governo – ministri o sottosegretari che siano -: per loro uscire dal governo non è un’ipotesi sul tavolo. E hanno avuto modo di dirlo chiaramente anche a Conte.
Restano, però, i cosiddetti “pontieri”. Uno di loro è lo stesso ministro Stefano Patuanelli che, pur vicino a Conte e pensandola come lui, gode di buoni rapporti nel governo e con gli altri partiti. “C’è chi dice che ci sia la sua mano e quella di Mario Turco sulle dichiarazioni di mediazione di Guerini”. Difficile a dirsi. Certo è che le parole del ministro sono lo spunto per trovare la giusta mediazione. E salvare l’Italia da una tragica crisi di governo.