Non è un mistero: il plebiscito era ciò a cui Giuseppe Conte mirava. E il risultato ottenuto gli dà ora ampiamente ragione. La nomina di Conte come presidente del M5S è stata confermata dagli iscritti, chiamati a riconvalidare l’elezione ‘scardinata’ dal ricorso di un gruppo di attivisti accolto dal Tribunale di Napoli.
A votare due giorni fa è stato meno di un iscritto su due – 59.047 su 130.570 aventi diritto (leggi l’articolo) – e a favore dell’ex presidente del Consiglio si sono espressi in 55.618, pari al 94,19% dei voti validi. Alla precedente votazione di riconferma dell’11 marzo – in quel caso per lo statuto – avevano votato 38.735 iscritti, circa 20mila in meno di questa occasione che ha richiamato più aventi diritto.
Un risultato importante, dunque, che lo stesso Conte ieri ha salutato con gioia: “C’è molta soddisfazione per questa votazione – ha detto l’ex premier – perché si trattava di ripetere una votazione che c’era già stata. Abbiamo raggiunto i quasi 60 mila iscritti e per una ripetizione di voto direi che si tratta di un fatto significativo visto che in genere le nostre votazioni oscillano sui 30 mila votanti”.
M5S, la nuova votazione offre a Conte ampio margine di scelte e decisioni
Obiettivo raggiunto, insomma. E numeri da cui ripartire perché innanzitutto la votazione offre a Conte ampio margine di scelte e decisioni. La strategia – perché di questo si tratta – di fatto ha funzionato: nelle ultime settimane, e peraltro in un periodo certamente non facile, Conte ha ripreso in maniera preponderante in mano temi cari al M5S, a cominciare dall’accentuato pacifismo.
Ha sorpreso gli stessi parlamentari la linea durissima tenuta dall’ex presidente del Consiglio in merito al no all’aumento delle spese militari. Un punto che inizialmente ha lasciato gli stessi pentastellati attoniti e divisi ma che ora è diventato punto di coesione inaspettato. Esattamente come altri due punti su cui il nuovo corso “contiano” premerà: transizione ecologica spinta e politiche di welfare.
Rispetto al passato, spiegano fonti interne, la nuova leadership pentastellata sarà meno disposta al compromesso. La strategia è chiara, dunque: premere sui princìpi che hanno reso il M5S riconoscibile su scala nazionale così da rendere ancora più “unico” il Movimento rispetto alle forze politiche. La ragione? Rispondere a chi lo ha accusato in passato di essersi troppo appiattito sul Pd. In più puntando sui temi e sugli argomenti Conte spesa anche che in futuro non sarà più un problema far accettare passi indietro su temi interni come il tetto al doppio mandato (che Conte vuole abolire).
Quella di Conte, dunque, sembra essere una stagione all’insegna del recupero dei temi forti del Movimento, senza però rinunciare a quella evoluzione che renderà più “partito” la forza politica ideata da Beppe Grillo. Non diventando però “governisti”. E questo, sibilano fonti interne, anche per evitare che Luigi Di Maio possa riprendere in mano un potere contrastante con quello ufficiale e formale di Conte.
Ecco perché la ripresa dei temi classici potrebbe riavvicinare – operazione in realtà che va avanti da mesi – anche Alessandro Di Battista al M5S. Si sa: Dibba non tornerà nei 5S finché questi appoggeranno il governo Draghi. Ma in futuro, magari per le prossime politiche, avere un Di Battista dalla propria non è male.