Il leader del M5S, Giuseppe Conte, continua a sostenere che non è questo il momento per parlare di aumento delle spese militari. Domenico De Masi, tra i sociologi del lavoro più accreditati in Italia e professore emerito alla Sapienza, cosa ne pensa?
“Spero che Conte vada fino in fondo su questo pensiero. In questo momento cogliere la palla al balzo di quanto sta accadendo in Ucraina per affermare che le armi vanno incrementate e non distrutte è una follia. Era un’occasione straordinaria per affermare la pazzia delle armi nucleari e invece no. Qualunque azione che vada contro gli armamenti la ritengo positiva”.
Crede che su questo il Movimento possa spaccarsi?
“Non è possibile dirlo. È imprevedibile, c’è di tutto dentro ma credo che Conte abbia un buon 80% del Movimento dalla sua parte. Se si dovesse spaccare ne uscirebbe una parte minima, non si spaccherebbe a metà”.
Come considera la linea del Pd più interventista sul fronte delle spese militari?
“Tutte le organizzazioni produttrici di armi contano una forte presenza di personaggi del Pd. Alessandro Profumo è amministratore delegato di Leonardo, Marco Minniti è presidente della fondazione Med-Or, Luciano Violante è presidente della fondazione Leonardo, Fausto Recchia è amministratore delegato di Difesa servizi Spa, Nicola Latorre è direttore generale dell’Agenzia Industrie Difesa. Quasi per conseguenza naturale finisce a sostenere quello che sostiene. Ed è l’ennesima dimostrazione che il Pd è sempre più spostato a destra. Sono anni che non fa cose di sinistra: ha abolito l’articolo 18, ha fatto le privatizzazioni”.
Fratelli d’Italia, con Ignazio La Russa, propone di dirottare i fondi del Reddito di cittadinanza per le spese militari.
“Ha sbagliato i conti. Il Reddito di cittadinanza è meno della metà dei costi che servono per portare le spese militari al 2% del Pil. Non ci fa niente con i soldi del Reddito, fa solo morire i poveri. È una guerra contro 3,7 milioni di persone inermi”.
Ieri era il giorno in cui si rivotava la leadership di Conte.
“Conte era stato regolarmente eletto poi c’è stata l’incursione dei magistrati di Napoli. Che assieme alla disputa con Rousseau ha fatto perdere un anno al Movimento che è passato dal 17 al 12%. Ma poi ci sono altri motivi che hanno determinato la perdita di consenso”.
Per esempio?
La fuoriuscita di Alessandro Di Battista, le scaramucce di Luigi Di Maio contro Conte, la mancanza di un modello di società da proporre agli elettori, le incertezze se sia un partito di sinistra o di centro. Dal 32% il M5S è passato al 17% durante il primo Governo Conte ad opera di Matteo Salvini. Poi da ottobre 2019 al mese scorso si è attestato sul 17%. E dal Quirinale in poi ha perso 5 punti in poche settimane”.
La Lega sostiene che la maggioranza possa fare a meno dei Cinque Stelle.
“L’uscita dal Governo gioverebbe al Movimento. Come ha giovato a Giorgia Meloni. Se fosse rimasto fuori nel 2018 sarebbe ancora al 30%, doveva fare come Berlinguer Ma occorre intelligenza politica per fare questo. Dopo la fase movimentista quando si è avvicinato alla consistenza di partito il M5S ha perso smalto. Che appunto come Movimento è stato straordinario ma come partito no, anche per dissidi interni tra di loro”.