Ora Giuseppe Conte spinge e fa sul serio. La posizione del leader in pectore del Movimento cinque stelle è molto chiara no convinto all’aumento delle spese militari da parte dell’Italia. Una posizione che l’ex presidente del Consiglio ha esplicitato ieri in un’intervista a La Stampa: “Il M5s voterà contro un eventuale aumento delle spese militari”.
Conte: “Il M5s voterà contro un eventuale aumento delle spese militari”.
La presa di posizione del leader 5 stelle è destinata a fare molto rumore sia dentro la maggioranza che nel Movimento. L’ex premier, infatti, alla domanda se è pronto ad andare fino in fondo anche se questo “provocasse la caduta del governo Draghi”, ha replicato: “Ognuno farà le sue scelte”. Parole che hanno allarmato innanzitutto gli alleati dem.
“È chiaro che è una scelta delicata per tutti”, ha detto la capogruppo Pd Debora Serracchiani su Radio24, “ma è altrettanto delicato sapere che in questo momento non puoi permetterti di mettere in difficoltà un governo che sta affrontando dei passaggi delicatissimi”. Alla deputata ha ribattuto il vice di Conte Michele Gubitosa: “Dico alla collega di pensare a non mettere in difficoltà il Paese con l’aumento delle spese militari”, ha dichiarato all’agenzia Adnkronos.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali, ovviamente la questione è ben più spinosa. Innanzitutto perché l’intervista di Conte – secondo quanto riferiscono vari senatori – è arrivata all’insaputa dello stesso gruppo parlamentare che due giorni fa si è riunito fino a tarda sera (leggi l’articolo) per decidere la posizione da tenere in merito all’Ordine del giorno presentato da Fratelli d’Italia – e di fatto spalleggiato dal governo – che impegnerebbe l’esecutivo di Mario Draghi a portare la spesa militare al 2% del Pil.
Basta questo per capire la delicatezza del momento che stanno vivendo i Cinque stelle: fino a due sere fa si era certi che il Movimento avrebbe presentato un proprio Ordine del giorno nel quale, pur non sconfessando i desiderata del governo, si chiedeva di aumentare innanzitutto e priotariamente le spese sociali (a cominciare da quelle per contrastare il caro bollette). Tempo poche ore e l’intervista ha nuovamente rivoluzionato il cinquestelle-pensiero.
“È stato giusto – ha detto Conte – offrire aiuti anche militari per esercitare la legittima difesa. Diversamente avremmo abbandonato la popolazione ucraina a se stessa e alla sopraffazione di una aggressione militare del tutto ingiustificata”. Il riferimento è proprio al voto che c’è stato nei giorni scorsi in Parlamento sull’invio di armi a Kiev (leggi l’articolo). Poi, però, ha sottolineato di essere “un pacifista convinto. La decisione di appoggiare l’invio delle armi non è stata presa a cuor leggero e non cambia il fatto che continueremo a lavorare senza sosta per un una soluzione diplomatica del conflitto”.
Alla domanda se investire il 2% del Pil in armi sia un errore, Conte ha risposto che “la soglia del 2% è frutto di un impegno preso nel 2014 che non può essere cancellato e che io stesso non ho rinnegato quando ero presidente del Consiglio. Però mi sono impegnato a rivedere i criteri di calcolo”. Pochi giorni fa alla Camera, peraltro, gli stessi 5S hanno votato sì all’aumento delle spese per la Difesa.
Insomma, una situazione piuttosto ingarbugliata e che è inevitabilmente in divenire. Per varie ragioni. Innanzitutto all’interno della maggioranza non c’è solo larga parte del Movimento ad essere contraria all’aumento della spesa militare, ma un’importante fronda c’è anche nel Pd, senza dimenticare Leu. E dunque potrebbe essere Draghi per primo a fare un passo indietro. “In alternativa – vocifera qualcuno tra i senatori – non ci resta che votare o contro all’Ordine del giorno, oppure astenerci”.
In ogni caso, significherebbe esprimere una posizione contraria al governo e al resto della maggioranza, nonostante – tutti lo sanno – l’approvazione di un Odg non significhi immediatamente la messa in atto di quell’impegno (che, anzi, il più delle volte resta disatteso). In questa circostanza, però, potrebbe essere molto diverso perché c’è un conflitto in corso. E il rischio di una crisi di governo al buio è diventata nel giro di poche ore un’ipotesi non più così remota.