A proposito della dilagante russofobia, da noi si è discusso molto di ciò che era accaduto allo scrittore Paolo Nori, che si è visto cancellare un corso di letteratura su Dostoevskij dall’Università Bicocca di Milano. Poi c’è stata l’esclusione del fotografo Alexander Gronsky dal Festival della Fotografia Europea: che Gronsky fosse stato arrestato lo scorso 26 febbraio per avere manifestato contro Putin non è bastato.
Russofobia sempre più dilagante
La russiofobia dilagante colpisce un russo solo perché russo, vivo o morto che sia, indifferentemente dalle sue posizioni politiche (se vivo) e dal suo valore artistico (se morto). Il Museo nazionale del Cinema di Torino ha cancellato una retrospettiva sul regista russo Karen Georgievich, mentre il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha ingaggiato un braccio di ferro col direttore d’orchestra Valery Gergiev, considerato troppo amico di Putin per lavorare alla Scala.
La guerra dovrebbe essere contro Putin, mica contro i russi, ma l’emotività incontrollata e la passione per la polarizzazione sta trascendendo in modi inutili e pericolosi. Mentre i governi forniscono aiuti e armi agli ucraini, organizzando severe sanzioni contro l’economia russa con la speranza di costringere Putin a fare un passo indietro, la gente comune cerca, nel suo piccolo, di partecipare al conflitto con atti di protesta che dovrebbero essere significativi ma non sempre ci riescono.
Così, ad esempio, quando Volodymyr Zelensky ha chiesto agli americani di smettere di acquistare prodotti da società russe o che continuano a fare affari in Russia (come Dunkin’ Donuts, Reebok e Subway) in molti hanno aderito al boicottaggio.
L’errore di confonde un popolo con il suo leader
Ma è tutto utile? Non proprio. All’inizio di marzo un gruppo di proprietari di bar e ristoranti nella città di Hempstead hanno riunito giornalisti e fotografi mentre versavano bottiglie di vodka sulla strada, promettendone di non acquistare “mai più”. Qualcuno ha fatto notare che la vodka Stoli non sia russa ma lettone, l’azienda Zyr dal canto suo ha ricordato che nonostante il nome è stata inventata in un appartamento di Manhattan da David Katz, nativo del New Jersey: “Nessuno in Russia, sicuramente non Putin, si accorgerà di nessun effetto se smettete di berci”, ha scritto l’azienda.
Per uno scherzo del destino il loro unico prodotto estero sono i tappi delle bottiglie che arrivano dall’Ucraina. La guerra alla vodka però negli Usa è diventata un affare di Stato e i divieti della sua vendita interessano almeno 11 Stati. Eppure negli Usa la vodka russa è meno dell’1% delle importazioni ma la foga ha travolto tutti: il marchio Smirnoff in un’accorato comunicato stampa ricorda di essere prodotta negli Usa. “Non c’è bisogno di rovesciarci da nessuna parte tranne che nel tuo bicchiere”, hanno scritto sui cartelloni pubblicitari. Chissà se funzionerà.
In una gastronomia della Carolina Rick Anderson, il proprietario, ha ribattezzato il suo “russian dressing” con il nome di “condimento ucraino”: “ha il sapore del nostro vecchio condimento, senza i notevoli accenni di genocidio”, ha raccontato in un’intervista a Fox. Peccato che nonostante il nome quella salsa sia stata creata negli Stati Uniti: tutti gli esperti di alimentazione concordano che sia stato inventata nel New Hampshire.
In Quebec, nel ristorante Le Roy Jucep, la specialità della casa, il piatto canadese “Poutine”, ha cambiato nome per il rischio di assonanza con il nome di Vladimir Putin. Il ristorante ha scritto su Facebook: “Questa sera il team di Jucep ha deciso di ritirare temporaneamente la parola P**tine dal suo marchio per esprimere, a modo suo, il suo profondo sgomento per la situazione in Ucraina”. Solo la protesta diffusa dei clienti su Facebook hanno convinto il ristorante che si trattasse di una solenne cretinata che nulla aveva a che vedere con la “solidarietà”. Il post è stato rimosso e il piatto ha potuto riprendere il suo nome originale.
Forse una delle storie più incredibili arriva dal National Mustard Museum del Wisconsin che ha deciso di togliere la senape russa dalla sua collezione sostituendola con un cartello piuttosto discutibile: “Le mostarde russe sono state temporaneamente rimosse. Torneranno una volta che l’invasione dell’Ucraina sarà finita e la Russia riconoscerà e rispetterà la nazione sovrana dell’Ucraina”. La foto pubblicata su Twitter ha scatenato una reazione mista di incredulità e sgomento: il cartello è stato rimosso e la senape russa si è vista riconosciuta pari dignità con le altre mostarde.
A Parigi Putin l’hanno eliminato, seppur simbolicamente: la sua statua al Museo delle statue di cera Grévin di Parigi è stata rimossa. Nei giorni precedenti aveva subito piccoli episodi di vandalismo ma il direttore del museo, Yves Delhommeau, ha detto alla radio France Bleu “dato quello che è successo, noi e il nostro staff non vogliamo dover sistemare i suoi capelli e il suo aspetto ogni giorno”. La statua è finita in magazzino, qualcuno propone di sostituirla con una nuova statua del del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
La Cardiff Philharmonic Orchestra ha deciso di rinunciare all’esecuzione dell’Ouverture di Pyotr Ilych Tchaikovsky, in quanto “inappropriato in questo momento”. La settimana scorsa un’organizzazione no profit americana per la difesa dello spazio ha ribattezzato di corsa una raccolta fondi dedicata all’astronauta sovietico Yuri Gagarin: ora la serata di gala che era “la notte di Yuri” da 7 anni consecutivi, si chiama “A Celebration of Space: Discover What’s Next”. Il celebre marchio di videogiochi Elecronic Arts ha rimosso la nazionale russa dal suo videogioco più famoso, “Fifa”, per “solidarietà con il popolo ucraino”.
Perfino cani e gatti sono stati esclusi da competizioni e esibizioni: l’International Cat Federation ci fa sapere che non poteva “essere testimone di queste atrocità e non fare nulla”. Poi ci sono i fatti più gravi: immigrati russi di tutte le età che in Germania, in Canada, in Nuova Zelanda sono rimasti vittime di violenza e molestie. Oggi giorno vengono segnalati nuovi episodi di discriminazione.
Si chiama russiofobia ma spesso è il solito odio xenofobo e nazionalista che divampa in tempi di guerra e che colpisce persone improvvisamente “straniere” per colpe che non hanno. Il solito errore di confondere un popolo con il suo leader. E così per essere “solidali con le vittime della guerra” si finisce per fare la guerra, anche nelle piccole (e inutili) cose.