Uno dei primi a mostrare dubbi è stato proprio Giuseppe Conte. Sebbene non più formalmente presidente del Movimento cinque stelle, il suo parere ha un peso ancora determinante negli equilibri pentastellati. E il solo fatto che internamente abbia criticato l’idea del governo di aumentare gli investimenti militari fino a raggiungere – prima volta in assoluto per l’Italia con il decreto Ucraina – il 2% del Pil in spese armate come richiesto dalla Nato, è un punto che non può essere eluso.
Decreto Ucraina, il M5S valuta un’ordine del giorno contro il riarmo
Ed è emerso chiaramente d’altronde anche ieri nella riunione, che si è protratta a lungo, dei senatori del Movimento cinque stelle. Sul tavolo proprio il dl Ucraina e, connesso a questo, la posizione di Vito Petrocelli. Sebbene all’esterno del Movimento tutti ormai lo danno fuori non solo dal gruppo parlamentare ma anche dalla maggioranza, all’interno dello stesso Movimento c’è chi lo difende. O, quantomeno, prova a capire la sua posizione.
Tra gli altri ieri a difenderlo sarebbe stata la stessa capogruppo Maria Domenica Castellone: il presidente della commissione Esteri, secondo la senatrice, “ci sta mettendo in difficoltà ma non possiamo sanzionare chi vuole la pace”. E ancora: “Verrà espulso – ha spiegato, secondo quanto riferiscono fonti interne – se non vota la fiducia ma non perderà la presidenza”.
Il tema è profondamente delicato perché la posizione più diffusa tra i pentastellati pare essere proprio quella contraria all’aumento della spesa militare. Giorni fa a porre seri dubbi era stato anche il senatore Gianluca Ferrara, uno dei senatori più autorevoli e ascoltati (anche al di fuori del Movimento) quando si parla di temi che ruotano attorno al business militare: “Mandare armi all’Ucraina aumenta in maniera esponenziale le probabilità che possa esserci celermente un’escalation senza ritorno”, ha detto tempo fa in un’intervista a Repubblica. “Certo – spiega una fonte interna – tutto cambia se, come pare, il governo dovesse porre la fiducia sulla conversione in legge del decreto”.
Una tattica che, formalmente, servirebbe ad accelerare i tempi ed evitare troppi passaggi parlamentari tra le Camere, ma che in realtà potrebbe servire, dal lato di Palazzo Chigi, ad evitare rotture interne alla maggioranza in un momento delicato come questo. Il ragionamento è semplice: se si dovesse affrontare il normale iter, le posizioni potrebbero essere diverse e variegate e tutte potenzialmente utili alla discussione legislativa. Cosa, però, che si vorrebbe evitare per non “annaccquare” la spinta impressa dal governo nell’ottica di una maggiore militarizzazione.
La soluzione cui si sarebbe giunti dopo lunga discussione è l’idea presentare un Odg al dl Ucraina in cui si conferma l’impegno ad aumentare gli investimenti per le spese militari ma in via subordinata alla soluzione di altre emergenze come quella del caro-prezzi e del caro-energia. Che è come dire: mettiamo agli atti che per noi le priorità sono altre, per il resto – specie in presenza di un voto di fiducia – siamo costretti ad adeguarci. Insomma, al momento si naviga a vista.