Karl Ludwig Börne scriveva che ai giorni nostri i più pericolosi predicatori della libertà sono i tiranni, Putin da settimane giustifica un’invasione mortifera cianciando di liberazione del popolo ucraino. Se qualcuno aspira a governare ininterrottamente per trentasette anni possiamo permetterci di definirlo un tiranno?
La domanda avremmo dovuto porcela già due anni fa, quando Vladimir Vladimirovič Putin spinse su un referendum di riforma costituzionale per poter restare presidente della Federazione Russa fino al 2036. Tutto ovviamente azzerando i precedenti incarichi che risalgono al millennio scorso, al capodanno del 1999 quando Boris Eltsin lo presentò al mondo come suo erede.
Putin continua a fare il Putin, come ha sempre fatto
Mentre il mondo apre gli occhi ora sul presidente russo, dopo avere liberamente lasciato pascolare i suoi cantori (tra cui anche gli italianissimi Salvini e Meloni) che l’hanno usato come grimaldello per provare a scardinare l’unità dell’Ue, Putin continua a fare il Putin, come ha sempre fatto, in una storia che è sempre uguale a se stessa e con le modalità di sempre. Solo che questa volta i morti sono troppo vicini e troppo raccontati per potersi permettere di nasconderli sotto al tappeto.
Putin non è un modello politico, non lo è mai stato e non ha nulla a che vedere con la democrazia. Putin è in tutto e per tutto un tiranno, nonostante sia stato coccolato per i soldi e per il potere e nonostante la Russia ostenti una parvenza di democrazia. È un tiranno nella gestione dell’informazione, ad esempio, ben prima di questa guerra: “Stiamo precipitando di nuovo in un abisso sovietico, in un vuoto di informazioni che significa morte dalla nostra ignoranza. Se vuoi continuare a lavorare come giornalista, è totale servilismo per Putin. Altrimenti, può essere la morte, il proiettile, il veleno o il processo – qualunque cosa i nostri servizi speciali, i cani da guardia di Putin – ritengano opportuno”, scriveva Anna Stepanovna Politkovskaja, assassinata (guarda il caso) nel giugno del 2006.
In pochi sembrano ricordare che nel 2021 il premio Nobel per la pace è stato assegnato a Maria Ressa, reporter filippina e a Dmitry Muratov, caporedattore di Novaya Gazeta, uno dei pochi giornali russi non asserviti e dunque oggetto di violenze e minacce, “per i loro sforzi per salvaguardare la libertà di espressione, che è precondizione per la democrazia e per una pace duratura”. “È un uomo pericoloso che ci ha fatto abituare ad una società totalitaria”, dice di Putin la giornalista Svjatlana Aleksievič.
Sì, Putin è un tiranno. Putin è un tiranno perché come tutti i tiranni è arrabbiato (con la Nato, con l’Occidente, con l’Ucraina) ed è una rabbia che serve a nascondere la sua incontrollabile paura (di perdere il potere dopo avere iniziato una guerra che non doveva andare così per le lunghe). Putin si scaglia quando viene messo alle strette dalla verità. Putin sta utilizzando le bombe e i morti civili perché, come i tiranni, ritiene la violenza un sinonimo della forza.
Usa la violenza per non apparire debole. Il presidente russo è solo
Usa la violenza per non apparire debole. Putin è solo. I tiranni hanno disperatamente bisogno di essere amati, eppure vivono in un deserto emotivo perché non piacciono a nessuno, la maggior parte ha paura di loro: gli oligarchi di Putin gli sono fedeli finché non troveranno un protettore migliore, il suo popolo gli garantisce il potere perché la dissidenza è un rischio.
Putin è un tiranno perché ogni giorno di più vive nel suo regno rabbioso, diventando ogni giorno più arrogante e più dogmatico nell’esercizio della loro tirannia: alzare il livello dello scontro non è solo una strategia militare, è l’unico modo che Putin ha per accreditarsi in un ruolo che ormai non sa più come gestire. Per questo correre il rischio di ritenere ancora Putin realmente un interlocutore politico sarebbe miope e pericoloso: come tutti i tiranni pone richieste irragionevoli agli altri, sia per dominarli e controllarli, sia nel vano tentativo di rafforzarsi.
Mentre finge di trattare domina, manipola e controlla chi lo circonda. Allora non ci resta che capire in fretta che il diritto di punire il tiranno e di detronizzarlo sono la stessa cosa poiché l’uno comporta le stesse formalità dell’altro, come del resto teorizzava de Robespierre. Poi, con calma, impareremo che l’abuso del potere è l’essenza della tirannia, non ha niente a che vedere con l’autorevolezza. E magari, deposto il tiranno, inizieremo a pretendere di non avere governanti che si innamorano di chi usa i pregiudizi della religione e del nazionalismo per imbellettare un dispotismo.