È risaputo: la fretta non è una buona consigliera. E forse siamo stati un po’ frettolosi nell’acquisto delle mascherine nella prima fase della pandemia. Fatto sta che non avendo alcuna certificazione dovranno essere distrutte migliaia di mascherine, per un valore totale di circa 218 milioni. A richiederne lo smaltimento è proprio la struttura commissariale che farà la stessa fine entro il 31 marzo (leggi l’articolo).
Migliaia di mascherine dovranno essere distrutte perché prive di certificazione
A provvedere allo smaltimento è un’azienda specializzata di rifiuti, la A2A, che ha vinto l’apposito bando. Ma non lo farà di certo gratuitamente. Infatti lo smaltimento avverrà per la modica cifra di 698mila euro. I dispositivi da eliminare sono le mascherine di comunità. I dispositivi di protezione in un primo momento era state ritenute idonee per far fronte al virus ma attualmente, essendo prive di certificazioni, risultano inutilizzabili e conservarle comporterebbe un costo.
Infatti, conservarle fino ad oggi all’interno dei magazzini della struttura è costato 313mila euro al mese. Non proprio bruscolini. “Non sono mai state richieste, né dalle Regioni, né dagli altri enti convenzionati” e “oggi non trovano più nessuna possibilità di impiego”, si legge nella determina del Commissario straordinario, il generalissimo Francesco Paolo Figliuolo.
In piena emergenza, quando i dispositivi di protezione individuale erano introvabili anche perché i maggiori produttori erano in Cina, l’uso della mascherine di stoffa era consentito, perché considerate comunque una barriera, anche se minima, per il virus, in assenza di quelle chirurgiche.