di Massimo Magliaro da New York
Nei corridoi del Palazzo di Vetro, sede dell’Onu, tirava ieri un’aria meno fredda del giorno prima. Il delegato permanente russo, Vitaly Tchurkin, ci ha detto che il linguaggio usato nelle ultime ore al Consiglio di Sicurezza è improntato a buon senso da tutte le parti. Forse questi toni ragionevoli adoperati nelle ultime ore dai grandi protagonisti dello scontro, Stati Uniti e Russia, nasce dalla denuncia fatta dai ribelli sulla presenza incontrollabile dei miliziani di Al-Qaeda nelle loro fila, terroristi che hanno la finalità di dar vita ad un regime teocratico e non ad una democrazia oppure dal fatto che la Siria ha consegnato all’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche dell’Onu (Opac) la prima lista delle armi in suo possesso e che ne seguiranno subito altre. Tanto che la stessa Opac, l’organismo internazionale destinato a sovrintendere allo smantellamento dell’arsenale chimico, ha dovuto spostare sine die la riunione, prevista per domenica, convocata per discutere sul come procedere per lo smantellamento. Che insomma tiri un’aria un po’ meno burrascosa lo testimonia l’offerta del nuovo presidente iraniano, Hassan Rouhani, di svolgere un’opera di mediazione fra le parti siriane. Forse il tempo è maturo.
Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha fatto sapere di aver chiesto al suo omologo russo, Sergei Lavrov, di sollecitare al Consiglio di Sicurezza l’approvazione di un documento “fermo e forte”. Lavrov non ha fatto sapere nulla al riguardo anche perché quella di Kerry appare una richiesta a dir poco di maniera e basta.
Dal fronte siriano c’è da registrare che il viceministro dell’Economia, Qadri Jamil, ha detto che il suo Paese ha le prove, che fornirà all’Onu, del fatto che le armi chimiche usate ad Al-Goutha il 21agosto sono arrivate nel 2011 dalla Libia che dopo la caduta sanguinosa di Gheddafi si trova nel caos più totale e che sarebbero state intercettate dai ribelli che le hanno usate il 19 marzo e, poi, il 21 agosto. Vendute solo per far soldi da parte di qualche banda libica. Ribelli che, per bocca di Carla del Ponte, il magistrato svizzero noto per il processo dell’Aja contro Milosevic, ha affermato in una intervista al settimanale “Le Point” che oltre la metà dei ribelli sono jaidisti dichiarati. Mentre il vicedirettore russo del Servizio Federale di Sicurezza (Fsb), l’ex-Kgb, ha detto che Mosca è molto preoccupata del fatto che fra i ribelli operano 3-400 cittadini russi arruolati come mercenari con soldi provenienti dal mondo arabo (Arabia Saudita? Qatar? Emirati?). Questi dati fanno parte di un rapporto illustrato ai Paesi membri dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (OcS), Cina, Kirghisistan, Uzbekistan.