di Gaetano Pedullà
Deficit oltre la soglia consentita del 3%. Ricchezza del Paese in picchiata a -1,7%. Record della disoccupazione, sopra al 12%, con picco del 50% per i giovani. E tasse, tasse, tasse. Il Governo può metterla come vuole, prendersela con l’instabilità politica, con l’eredità del passato o con l’oroscopo che butta male, ma i numeri sono argomenti testardi. E ci dicono che così non si esce dal tunnel. Anni di sacrifici, di recessione, di risparmi sempre più assottigliati, non sono serviti a niente. Anzi, il nostro debito pubblico continua ad aumentare, e la fiducia nel futuro a scomparire. Siamo un Paese ostaggio di una politica debole, di un Europa che comanda in casa nostra, di una moneta che ci ha tradito, dei mercati che ci tengono per il collo sventolando il nostro spaventoso debito pubblico. Eppure è chiaro che andando avanti così se va bene ci metteremo mille anni per riprendere la nostra sovranità. Ed è più facile che dopo aver depredato quanto è rimasto da depredare, svenduto quanto è rimasto di buono nel patrimonio dello Stato, faranno pure saltare il banco. Chinare ancora il capo, come il nostro Governo vuole tornare a fare aumentando tra pochi giorni l’Iva, serve solo a far più ricchi i nostri creditori in cambio a malapena di un osso: il lieve calo di quella finzione cinematografica che si chiama spread. Dalla fiction alla realtà, il Paese reale è alla frutta. E una politica degna di questo nome dovrebbe prenderne atto, mostrare gli attributi – se ci sono – e rovesciare il tavolo prima che lo facciano gli altri con noi. Domani in una Germania che ha un tasso praticamente di piena occupazione si va al voto. Dopo aver vinto con l’Euro la battaglia d’Europa persa quasi 70 anni fa con i carri armati, ora molti tedeschi vogliono uscire dalla moneta comune. Noi che stiamo affondando chiediamo invece scusa all’Europa per aver sforato di 0,1% il deficit, quando dovremmo invece sfondarlo del 10 o del 20% per immettere nel sistema liquidità – soldi, soldi e soldi – e così ridare fiato sul serio a un’economia che muore, tornare a far crescere i consumi e consentire alle imprese di produrre e assumere. In estrema sintesi, dire basta a una politica di rigore oscurantista e recessiva per riabbracciare un’economia di sviluppo ed espansiva. Per far questo serve però un governo forte, di qualunque colore partitico, e dunque nuove elezioni, anche a rischio di doverle fare e rifare fino a quando non ci sarà un vincente. La difesa a oltranza di una fragile stabilità serve solo a rinviare i problemi. E a toccare nuove vette negative, anche se pure ieri il Governo ci ha promesso che il 2014 sarà migliore. Promesse già sentite mille volte. Ne avessero mai azzeccata una!