Romanticizzare una guerra è il modo migliore per non doverla raccontare nella sua complessità, per disincentivarne la comprensione e per renderla potabile, necessaria, perfino giusta. Accade sempre così, accade in tutte le guerre e la viralità dei mezzi di comunicazione ha reso il compito ancora più semplice.
Se dovessimo dirci guardandoci negli occhi che la guerra è merda e sangue, se dovessimo confessarci che ogni guerra rende i popoli più poveri e straziati (che siano i vinti o che siano i vincitori) in molti non potrebbero parlare e agire con questa leggerezza che gli è concessa sull’onda dell’emozione.
Guerra fra Russia e Ucraina: non servono eroi da propagandare
L’emozione, appunto: “Non è tempo di analisi, c’è da salvare la gente dalle bombe”, continuano a ripeterci. Che a dircelo siano gli stessi che stanno spedendo altre bombe rende il tutto parossistico. Mai come nel pieno di una guerra, con la gente straziata, è tempo di mantenere la mente lucida.
L’onda emotiva non può fare altro che alzare il livello dello scontro. Non è un caso che qualcuno cominci a bisbigliare che ci sarebbe da “colpire per primi per difendersi” senza rendersi conto dell’enorme fesseria contro qualsiasi diritto internazionale. Non è una caso che Zelensky ieri si sia spinto a dire che “Putin non si fermerà finché non arriverà a Berlino”.
Zelensky un eroe? Non abbiamo bisogno di mostrificazioni o di santificazioni
Non abbiamo bisogno di mostrificazioni o di santificazioni, non ci interessano i condottieri da rivendere alla propaganda politica: ci interessano i popoli.
La romanticizzazione della guerra serve a molti: serve a quelli che hanno responsabilità nel percorso che ci ha portato fin qui; serve a quelli che non vogliono che si parli delle altre guerre che non tornano utili; servono a quelli che sono sempre alla ricerca di un palcoscenico; serve a quelli che hanno solo una visione bellica della politica.
Romanticizzare la guerra, ad esempio, è il modo migliore per offrire un condono a chi ha leccato Putin per tutti questi anni. Non è un caso che Salvini e Meloni ci dicano “con questa guerra è cambiato tutto” sperando così di scrollarsi di dosso il proprio passato.
Badate bene, i giornalisti stanno lì per raccontarci le persone e i loro dolori, i politici devono fare altro. Devono costruire soluzioni, offrire delle buone analisi, avere cura della diplomazia (nemica delle emozioni). Il loro lavoro non è condividere video virali. Il loro lavoro è dirci come uscirne. Senza inutili romanticismi.