Tra promesse di tregua e telefonate di Macron col Cremlino, ieri in Ucraina si è continuato a morire per l’orrore scatenato da Vladimir Putin. Con tutte le motivazioni che su questo giornale non abbiamo mai nascosto, a partire dalla provocatoria espansione della Nato fino ai confini russi, questa guerra ha però un preciso responsabile: il tiranno di Mosca.
Al potere da decenni, Putin era assediato da tempo dal dissenso interno e dalla crisi economica, e ricostruire il mito della vecchia Urss l’unica via per restare in sella, facendo leva del revanscismo. La resistenza di Kiev e l’isolamento internazionale hanno complicato i piani, facendo crescere nella popolazione russa, specie tra i più giovani, la consapevolezza di essere schiacciati da un dittatore.
La debolezza del loro zar diventerà perciò sempre maggiore, e per restare al comando Putin dovrà aumentare di nuovo le pretese, in un’escalation senza fine. Non c’è modo di uscirne, dunque, se non spingendo in ogni modo la caduta di questo macellaio, imperdonabile per la strage che sta provocando, di cui merita di rispondere al tribunale per i crimini di guerra.
Non c’è alternativa, quindi, alle sanzioni, ma bisogna anche finirla di giustificare un tale assassino, a partire da quei leader politici che andavano a braccetto con Mosca, e che ora prendono le distanze ma poi non smantellano la rete di relazioni con gli amici russi, né dimostrano di fare sul serio spiegandoci di cosa trattavano i loro emissari all’hotel Metropol, o spolverano il ritratto di Vladimir Putin sulla scrivania, come fa il sindaco di Verona, di Fratelli d’Italia, in attesa di tempi migliori.