Anche la Rai schiera il suo esercito di inviati in Ucraina per seguire la guerra. Ovviamente senza fucili e bombe, ma con l’arma dei microfoni e delle telecamere per raccontare minuto per minuto l’invasione della Russia. Uno sforzo eccezionale, giustificabile dal fatto che ci sono eventi di portata epocale. Ma che rischia di creare una macchina piena di doppioni, con un conseguente spreco di risorse. E non esente da “buchi”.
Dodici inviati Rai in Ucraina a carico degli italiani, ma sparano a salve
Anche perché, tante volte, i resoconti riferiscono i contenuti delle agenzie di stampa. Non sempre, o quasi mai, ci sono reportage o grossi scoop. Si consolida quindi la perplessità sull’assenza di una razionalizzazione della struttura, magari con la creazione di una newsroom, che non sembra una priorità per l’amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes. Eppure l’operazione, stando alle stime, potrebbe far risparmiare circa 80 milioni di euro all’anno.
Il numero uno di viale Mazzini tira dritto con la sua politica: intervenire sugli sprechi a intermittenza, a suo piacimento. E dire che, nonostante l’impegno sullo scenario bellico, non mancano scivoloni. “C’è stato un ripetersi di errori, di episodi imbarazzanti come il filmato di un videogioco finito in un servizio del Tg2, l’aver bucato la conferenza stampa di Biden o la falsa copertina di Time nello speciale del Tg1”, dice a La Notizia Michele Anzaldi, deputato di Italia viva e componente della commissione di Vigilanza Rai.
“Questo – aggiunge – ha alimentato grande sconcerto tra i cittadini, basta leggere molti commenti sui social. Sono gaffe che la Rai non può permettersi”. Del resto basta accendere la televisione, in queste ore drammatiche, per capire il dispiegamento di forze in campo da parte di viale Mazzini. Una sequenza di cronisti, suddivisi nell’area dalla crisi: dalla Polonia alla Moldavia, oltre alla Russia e all’Ucraina. Tutti intorno all’orario di pranzo, alcuni addirittura nella stessa città. I numeri non mentono.
Gli inviati Rai in Ucraina riportano notizie d’agenzia, pochi reportage, gaffe e zero scoop
Il Tg1 ha schierato ben 7 giornalisti: Stefano Battistini, Alessandro Cassieri, Emma Farnè (nella foto), Barbara Gruden, Giuseppe La Venia, Sergio Paini e Giacinto Pinto. Il Tg2 ha invece puntato su 4 cronisti: Stefano Fumagalli, Marc Innaro, Giammarco Sicuro e Leonardo Zellino. Infine, il Tg3 che ha fatto raccontare le vicende all’inviata Maria Grazia Fiorani. In totale dodici per tre telegiornali, che fanno riferimento alla stessa azienda. Mamma Rai.
“L’alto numero di inviati Rai nelle zone di guerra e limitrofe denota la grande attenzione che c’è sul tema, ma ciò che non si capisce è perché ogni testata continui a mandare propri inviati e non ci sia una comunanza di corrispondenze tra i diversi tg”, osserva Anzaldi. La vicenda ha assunto tratti quasi grotteschi: “Il Tg1 si è collegato da una stessa città, Dnepro, con due inviate diverse. Un’organizzazione così elefantiaca non ha eguali in nessuna altra tv”.
Da qui la richiesta di una newsroom unica. In questo modo si potrebbe “razionalizzare l’organizzazione e il prodotto, evitando doppioni e forse anche buchi”, ribadisce il parlamentare. La disamina è in questo senso dura: “Da tutti questi collegamenti – conclude il commissario della Vigilanza, Anzaldi – di rado riceviamo notizie o scenari in esclusiva, spesso gli inviati leggono dal fronte il testo delle agenzie di stampa che si potrebbero leggere da studio: ha senso mettere a rischio la loro incolumità senza che ci sia un valore aggiunto in termini di notizie?”.