Qualche mal di pancia forse rimane ma alla fine i partiti si allineano e tanto la Camera quanto il Senato dicono sì alla richiesta di inviare armi a Kiev che arriva da Mario Draghi. Perché l’Italia, scandisce il premier, di fronte alla guerra in Ucraina, dunque all’aggressione “premeditata e immotivata” della Russia “non intende voltarsi dall’altra parte”. Un sì che apre la strada alla firma attesa nelle prossime ore del decreto attuativo del ministro della Difesa Lorenzo Guerini (nella foto) sull’invio di materiale bellico all’Ucraina, il cui contenuto resterà però segreto.
Guerra in Ucraina, attesa nelle prossime ore la firma del decreto attuativo del ministro della Difesa Guerini
“Esigere dalle autorità russe l’immediata cessazione delle operazioni belliche e il ritiro di tutte le forze militari che illegittimamente occupano il suolo ucraino, ripristinando il rispetto della piena sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina” e “assicurare sostegno e solidarietà al popolo ucraino e alle sue istituzioni attivando, con le modalità più rapide e tempestive, tutte le azioni necessarie a fornire assistenza umanitaria, finanziaria, economica e di qualsiasi altra natura, nonché – tenendo costantemente informato il Parlamento e in modo coordinato con gli altri Paesi europei e alleati – la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all’Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione”.
Sono questi i due punti nevralgici, insieme al sostegno ad ogni iniziativa utile a una de-escalation militare e alla ripresa dei negoziati tra Kiev e Mosca, della risoluzione unitaria sulla guerra in Ucraina che è stata votata dal Parlamento (224 sì al Senato, dai 459 ai 521 sì alla Camera, tenendo conto che la mozione è stata qui frazionata in 12 parti) al termine delle comunicazioni del premier. La risoluzione di maggioranza è stata votata anche dal partito di Giorgia Meloni che ha oramai fatto la sua scelta di campo votandosi al Patto atlantico. Ma non sono mancati i mal di pancia di deputati e senatori “pacifisti”.
Rimane al Senato sulla carta il no del presidente della commissione Esteri, Vito Petrocelli del M5S, assieme a quello di altri 12 colleghi del Misto, tra cui gli ex M5S confluiti in Alternativa. Un no che ha fatto rumore a Palazzo Madama e ha creato più di un imbarazzo tra le truppe pentastellate dopo che il leader Giuseppe Conte, in piena sintonia con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ha assicurato al premier pieno appoggio per il sostegno all’approvvigionamento militare all’Ucraina.
Da Forza Italia a Italia Viva (ma anche tra questi partiti si contavano assenze non giustificate) molti hanno stigmatizzato il no di Petrocelli come una vergogna e hanno chiesto al pentastellato di lasciare la presidenza della Commissione. La renziana Laura Garavini, sua vice, ha chiesto la convocazione dell’ufficio di presidenza della commissione Esteri per discuterne. Ma tecnicamente non è prevista la sfiducia ai presidenti di commissione, che possono lasciare l’incarico solo volontariamente.
La Lega, obtorto collo, vota sì all’invio di armi (ma il leghista Carlo Doria si astiene) dopo aver espresso la sua contrarietà. Ma nulla di nuovo sotto al cielo. Salvini continua a fare il pesce in barile. “Complimenti, presidente Draghi – dice – ha il nostro totale mandato. Un’unica riflessione: è sempre il tempo della diplomazia. Non c’è un tempo in cui non occorra dialogare. Purtroppo la storia insegna che se alle bombe si risponde con le bombe non si sa mai dove si va a finire”.
Eppure Draghi è chiaro: “Bisogna pensare che alla fine da tutto ciò si esce con la pace, e per arrivare alla pace ci vuole il dialogo, ma ho l’impressione che questo non sia il momento”. E ancora: “Per cercare la pace bisogna volerla e chi ha più di 60 km di carrarmati alle porte di Kiev non vuole la pace in questo momento”. Draghi fa il duro e difende la risposta che ha dato l’Europa a Putin: una risposta che neanche lo zar si attendeva.
“Forse Putin – argomenta – ci vedeva impotenti, ci vedeva divisi, ci vedeva inebriati dalla nostra ricchezza, ma si è sbagliato: siamo stati e saremo pronti a reagire, e non lo facciamo perché vogliamo difendere un nostro espansionismo aggressivo (sto pensando a quelli che dicevano che vogliamo che la Nato vada dovunque), questo è quello che fa lui, ma noi lo facciamo per difendere i nostri valori”. Alla Camera Cinque Stelle compatti ma da Leu e dal Pd contro le armi dichiarano il loro no i deputati Stefano Fassina (Leu) e Laura Boldrini (Pd).