Alleanza con il Pd solo se c’è condivisione sui temi. Altrimenti al M5S non interessa. E si comincia dalla proposta che Giuseppe Conte ha messo con decisione in agenda: il salario minimo. L’ex presidente del Consiglio ha usato parole nette, lasciando intendere che gli strascichi del voto al Senato su Matteo Renzi (leggi l’articolo) ci sono, eccome.
“Interessa il contrasto dei privilegi? I politici sollevano un conflitto di attribuzione? Se questo è il campo largo, non ci interessa”, ha scandito. Le scorie non saranno smaltite a breve. L’intesa con il Partito democratico, dunque, vacilla. La diffidenza ha raggiunto i livelli di guardia verso tutto Largo del Nazareno, compreso Enrico Letta che pure fino a poche settimane fa aveva indossato i panni dell’interlocutore affidabile (leggi l’articolo). Salvo poi smentirsi e aprire a Carlo Calenda, fingendo di non sapere le conseguenze sul rapporto con il M5S.
I vertici M5S hanno vissuto quell’uscita come uno sgarbo, anche perché compiuta proprio davanti alla platea di Azione. “Il Movimento non ci sta con Calenda e Renzi, si deve ripartire dall’asse con Pd e Leu”, è la posizione che viene ribadita a La Notizia da fonti pentastellate. Il “campo largo” non convince, dunque. “È una formula astratta”, ha sentenziato Conte. Come se ne esce? Si torna al punto di partenza: l’accordo sui temi.
Certo, dal Pd è arrivata un’apertura. Almeno a parole. “Penso che, dopo mesi di lavoro, si possa arrivare in breve tempo, a mettere all’ordine del giorno questa discussione e fare un lavoro ordinato per arrivare entro la fine della legislatura ad approvare norme così importanti”, ha affermato Mauro Laus, senatore e capogruppo in commissione Lavoro dei dem a Palazzo Madama riprendendo l’impegno di Letta manifestato pochi giorni fa.
Il punto non è la dichiarazione di intenti, peraltro arzigogolata, ma la volontà politica. Conte non ha usato metafore: “La Germania ha alzato il salario minimo, la Spagna lo aveva fatto prima. C’è già una proposta in Italia, chi è d’accordo la sottoscriva”. E ancora: “Chi non lo fa, si assume la responsabilità di fronte a quattro milioni e mezzo di cittadini (quelli che beneficerebbero della misura, ndr) che aspettano risposte”.
Un concetto ripreso Nunzia Catalfo, madrina della proposta: “Serve una legge e serve ora”. Conte scruta poi il reale orientamento del Pd sui quesiti referendari relativi alla giustizia. È stato incassato con soddisfazione il no di Letta all’abrogazione della Legge Severino. Ma sul tavolo restano gli altri temi.
“Se non vengono risolti in Parlamento, il Pd dovrà prendere una posizione”, fanno notare ambienti parlamentari del Movimento. Lasciando trapelare la sensazione che i dem, su questo punto, siano più vicini alle posizioni della Lega di Matteo Salvini che alla sensibilità del M5S.
Ma il M5S è anche alle prese con le questioni interne. Dopo il ricorso contro la sospensiva del Tribunale di Napoli, è stato deciso di riproporre comunque la votazione sullo statuto. Il 10 e l’11 marzo gli iscritti potranno esprimersi, riavviando l’iter di riorganizzazione interna. Andrà tutto come previsto con la riconferma di Conte.
Il problema, tuttavia, rischia di porsi per le prossime Amministrative. Il tema non è stato ancora posto e c’è ottimismo su un’evoluzione positiva. Resta, d’altra parte, il timore che il simbolo possa finire ostaggio di eventuali altri ricorsi. Per questo, a porte chiuse, si valutano opzioni alternative. Come simboli “non ufficiali”.