Italia viva lo ha usato come pretesto per attaccare il Governo di Giuseppe Conte un giorno sì e l’altro pure ma ora che a Palazzo Chigi siede Mario Draghi sembrava che il tema fosse passato di moda, almeno per i renziani. Oggi torna d’attualità. La strada per ratificare il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) è segnata. Ma ancora non è detta l’ultima parola. Il tema continua come in passato a infiammare e dividere i partiti. Il processo di ratifica ha preso il via a gennaio del 2021 ed è stato finora completato da 17 Paesi membri su 19.
La strada per ratificare il Mes è segnata. Ma ancora non è detta l’ultima parola
All’appello mancano solo l’Italia e la Germania. Berlino è in attesa del pronunciamento – che dovrebbe arrivare nel giro di qualche settimana – della sua Corte Costituzionale, mentre inizialmente l’Italia aveva assicurato che avrebbe proceduto alla ratifica entro l’anno passato. Così non è stato ma ora il passaggio si avvicina. Così lascia intendere almeno il ministro dell’Economia, Daniele Franco, chiamato dai renziani a rispondere al question time proprio sulla posizione italiana e sulla tempistica della presentazione del ddl.
“Ratificare l’accordo emendativo del Mes – dice il ministro – darà seguito agli impegni assunti dall’Italia nei confronti dei partner europei. Il Governo conferma l’intenzione di presentare il disegno di legge di ratifica alle Camere”. Ma non si sbilancia sul “quando” il ddl sarà presentato, prima in Cdm e poi alle commissioni Esteri e all’Aula di Camera e Senato per la ratifica. Perché il rischio che si consumi di nuovo uno strappo nella maggioranza è chiaro al Mef come a Palazzo Chigi. Tra le forze politiche che sostengono il Governo, M5S e Lega hanno nutrito da sempre ostilità verso lo strumento messo in piedi per far fronte alla crisi della Grecia – da qui la sua fama sinistra.
All’annuncio di Franco, Conte è più che cauto: “Sul Mes – dice – ha già lavorato il mio Governo. Vediamo le modifiche, le discuteremo, se sono sostenibili le appoggeremo”. Ma ora non ci sono più margini per cambiare la riforma, la ratifica è prendere o lasciare. E se la Lega al momento non si espone, dall’opposizione Giorgia Meloni promette fuoco e fiamme: “Noi non abbiamo cambiato idea: siamo pronti a respingere con tutte le nostre forze questo ennesimo tentativo di riforma di un Trattato che non fa gli interessi dell’Italia”, dichiara la leader di FdI.
Ma la Meloni non può certo dire che il suo partito è da sempre contrario al Mes se nel 2012, quando fu votato in Parlamento, FdI neanche esisteva. C’era invece il Pdl che votò a favore della riforma. E molti dei parlamentari del Pdl passati poi nell’attuale formazione politica guidata da Meloni votarono, eccome, a favore del Fondo Salva-stati. Tra questi Fabio Rampelli, Adolfo Urso, Achille Totaro e l’attuale governatore dell’Abruzzo, Marco Marsilio, per citarne alcuni. Meloni era assente.
E a Italia Viva che ora si spertica ad applaudire Franco (“La fine della stagione populista che tanti danni ha fatto a questo Paese passa anche attraverso la ratifica veloce del trattato del Mes”, dichiara Luigi Marattin) il Pd si allinea. “Continuiamo a chiedere a tutte le forze politiche grande serietà, mettendo da parte totem ideologici”, dice il vice capogruppo dem alla Camera, Piero De Luca.
“La riforma migliora l’impianto iniziale del Mes e non ci sono rischi di ristrutturazione del debito o di sorveglianza rafforzata dei conti pubblici italiani. Nessuno dei pericoli che vengono evocati in modo strumentale da qualche forza politica”, spiega, anche perché “ratificare il Trattato di riforma non implica nessuna decisione sull’utilizzo di questo strumento, che non è assolutamente all’ordine del giorno”.