Per settimane i leader di mezza Europa hanno provato, con risultati disastrosi, a frenare la crisi in Ucraina. Si è trattato di tentativi vani – ma necessari – che hanno visto impegnati in prima linea Emmanuel Macron e Olaf Scholz mentre il premier Mario Draghi, da molti ritenuto il jolly europeo da schierare per risolvere la situazione, è rimasto in disparte. Una posizione che è cambiata ieri quando, dopo un lungo silenzio, sembra essersi deciso a entrare in partita ma a cose fatte e quindi fuori tempo massimo.
Draghi da molti è ritenuto il jolly europeo da schierare per risolvere la crisi in Ucraina
“Voglio prima di tutto esprimere la mia più ferma condanna per la decisione del governo russo di riconoscere i due territori separatisti del Donbass” ha spiegato il premier italiano (qui la nota di Palazzo Chigi). “Si tratta di una inaccettabile violazione della sovranità democratica e dell’integrità territoriale” dell’Ucraina, prosegue il premier sottolineando di essere “in costante contatto con gli alleati per trovare una soluzione pacifica alla crisi ed evitare una guerra nel cuore dell’Europa. La via del dialogo resta essenziale, ma stiamo già definendo nell’ambito dell’Unione Europea misure e sanzioni nei confronti della Russia”, ha aggiunto Draghi.
Titubanze da parte del premier italiano che sono state al centro anche di furibonde polemiche politiche perché il governo ha deciso che oggi a riferire in Aula sarà il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e non Draghi. Proprio per questo il premier è stato accusato da molti, opposizioni in testa, di “snobbare il Parlamento”. Polemiche che hanno scosso Mr. Bce convincendolo a far sapere che la prossima settimana riferirà alla Camera dei Deputati sulla crisi in corso.
Intanto proprio a Bruxelles qualcosa si è smosso. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha annunciato il primo pacchetto di sanzioni approvato all’unanimità dai ministri degli Esteri Ue (leggi l’articolo). “Questo solido pacchetto di sanzioni contiene un numero di misure calibrate. È una chiara risposta a questa violazione della legge internazionale da parte del Cremlino” che colpisce “direttamente individui e aziende coinvolti in queste azioni” come “le banche che finanziano le operazioni militari e che contribuiscono alla destabilizzazione dell’Ucraina”.
Inoltre “vietiamo il commercio tra le due regioni separatiste e l’Ue, come facemmo dopo l’annessione illegale della Crimea nel 2014. E infine limiteremo la capacità del governo russo di raccogliere capitali sul mercato finanziario dell’Ue”. Misure che, assicura, potrebbero aggravarsi se Putin dovesse continuare l’escalation.
Prima ancora delle misure di Bruxelles, a muoversi indipendentemente sono state la Germania di Scholz e la Gran Bretagna di Boris Johnson. Entrambi gli Stati europei già in mattinata, temendo lo stallo nell’Ue, hanno intrapreso le prime contromisure per colpire lo zar al fine di farlo desistere dal prendere decisioni devastanti per l’intero continente. Da Berlino è arrivato lo stop all’autorizzazione del gasdotto Nord Stream 2 (leggi l’articolo) con il cancelliere tedesco che ha spiegato che “sembra una cosa tecnica, ma è un passaggio amministrativo necessario, quindi non può esserci alcuna certificazione al gasdotto” e senza di quest’ultima “il Nord Stream 2 non potrà funzionare”.
Dal canto suo Londra ha imposto dure sanzioni economiche nei confronti di cinque banche e tre individui “dall’elevato patrimonio economico”, tra i quali spicca il magnate Gennady Timchenko, proprietario del Volga Group. Una mossa che è stata annunciata dal primo ministro Johnson il quale, parlando ai deputati della Camera dei Comuni, ha spiegato che si tratta “solamente della prima tranche di una serie di mosse che siamo pronti a intraprendere”. Non solo. Il primo ministro britannico ha poi convocato l’ambasciatore russo a Londra e starebbe valutando anche l’invio di ulteriori aiuti militari a Kiev.