Dopo il riconoscimento delle repubbliche separatiste, Vladimir Putin alza ulteriormente la posta in gioco. E lo fa nel peggiore dei modi, ossia lanciando quello che gli esperti descrivono come un ultimatum in cui ha posto tre condizioni al governo di Kiev per scongiurare il conflitto: rinunciare all’adesione alla Nato; il riconoscimento della Crimea; la demilitarizzazione dell’Ucraina (leggi l’articolo).
Vladimir Putin alza ulteriormente la posta in gioco
Se la prima richiesta può essere in qualche modo accettata, tanto più che l’ingresso di Kiev nel Patto Atlantico non è all’ordine del giorno, a preoccupare sono le altre due che sono insostenibili e sembrano fatte appositamente per non essere accettate. Eventualità, questa, che finirebbe per fornire un pretesto al Cremlino per scatenare una vasta offensiva che vada ben oltre le due regioni del Donbass.
Fantapolitica? Sembra proprio di no. Anzi sono numerosi gli indicatori che lasciano pensare ad un’imminente offensiva, a partire dalla mobilitazione massiccia di unità sul campo e, per finire, con le decisioni prese dalla politica russa. Già perché ieri Putin ha fatto un’ulteriore mossa chiedendo al Senato il permesso per muovere le truppe al di fuori dei confini russi. Richiesta che è stata immediatamente accolta e che ha spinto lo zar a dire che a questo punto “non escludo l’ingresso dell’esercito nel territorio dell’Ucraina” perché tale eventualità “dipenderà dalla situazione sul terreno”. Ma non è tutto.
A far pensare che la crisi sia vicina al punto di non ritorno anche la dichiarazione del ministro degli Esteri russo che ha annunciato che tutto il personale diplomatico di Mosca in Ucraina dovrà essere evacuato in tempi brevi. Del resto l’invasione sembra davvero dietro l’angolo anche perché la pista diplomatica è sempre più remota visto che, almeno fino a questo momento, ha puntato sul ripristino degli accordi di Minsk del 2014. Peccato che a gelare le diplomazie occidentali ci ha pensato ancora una volta lo zar russo che ieri ha spiegato che tali accordi “non esistono più e non c’è più niente da rispettare”.
Che la giornata fosse delicata era ben chiaro sin dalla mattinata quando dopo il riconoscimento delle repubbliche separatiste del Donbass, queste hanno chiesto aiuti militari a Putin che non si è fatto sfuggire l’occasione per dare il via libera all’invio di un primo contingente di carri armati e truppe. Prima ancora che iniziasse l’invasione, i ribelli e l’esercito regolare dell’Ucraina sono arrivati più volte allo scontro con un bilancio che la dice lunga su come la crisi stia precipitando: due soldati ucraini e un miliziano filo-russo uccisi, diverse decine di combattenti feriti.
Ciò dimostra come – di fatto – la guerra al fronte è già iniziata. Proprio in ragione di ciò è chiaro che l’arrivo delle armate di Mosca nell’area rischia di diventare catastrofico. Basterebbe il loro coinvolgimento in qualche scontro per accendere la scintilla del conflitto. Un’eventualità che è sempre più concreta anche perché fonti interne al governo dell’Ucraina sostengono che le colonne di blindati russi non si sono fermate nelle repubbliche separatiste ma sono in movimento verso i bordi esterni del loro territorio d’influenza.
Movimenti che, comunque, Kiev non intende subire passivamente. A farlo capire è il viceministro della Difesa di Mosca, Nikolai Pankov, che sottolinea come l’Ucraina ha schierato 60 mila uomini con blindati, sistemi missilistici e lanciarazzi. Una difesa estrema che, secondo lui, si è concentrata nella zona di Mariupol, località strategica sul mar d’Azov da cui Kiev può colpire i separatisti. Una zona che, però, interessa anche al Cremlino perché se conquistata priverebbe Kiev di un cruciale accesso al mare e, al contempo, permetterebbe di collegare la Crimea al Donbass e quindi alla Russia stessa.
Al termine di una giornata da film horror, è arrivata l’attesa reazione degli Usa. Il presidente Joe Biden ha ribadito che è ormai evidente che la Russia “ha violato il diritto internazionale” e che a questo punto non si può escludere che “forze russe potrebbero marciare perfino su Kiev”. Azioni per le quali, a suo dire, “Mosca pagherà un prezzo carissimo” visto che “le sanzioni saranno più dure del 2014 e saremo pronti a inasprirle giorno dopo giorno” fino “a tagliare fuori il governo russo dal sistema di finanziamento occidentale”.