Avviata in Commissione Vigilanza la discussione sul cosiddetto caso Report, sul video del 2014 rilanciato dal Riformista (leggi l’articolo) e relativo a presunti comportamenti opachi del conduttore Sigfrido Ranucci nella ricerca di notizie sull’ex sindaco di Verona e ormai anche ex leghista Flavio Tosi, il presidente azzurro Alberto Barachini ha sostenuto che si tratta di vicende che “meritano di essere attentamente approfondite”.
Nel 2014 la Vigilanza si occupò del video farlocco scagionando Ranucci
Nella lettera inviata all’amministratore delegato Rai, Carlo Fuortes, e alla presidente Marinella Soldi, ha pure evidenziato come il video faccia “riferimento all’invio di materiale anonimo e a forme di fatturazione quanto meno discutibili le quali, se davvero verificatesi, potrebbero configurare un danno erariale oltre ad un danno alla stessa immagine e credibilità dell’azienda”. Peccato però che Barachini sembra non aver approfondito quanto stabilito proprio in Vigilanza, la Commissione che ora lui presiede, nel 2015, dove rispondendo all’interrogazione della Lega la vicenda era stata abbondantemente chiarita stabilendo che la condotta di Ranucci era stata più che corretta e professionale.
IL PUNTO. Sette anni fa il Carroccio aveva montato lo stesso caso che si sta montando oggi. Proprio in Vigilanza era stato però chiarito che Ranucci, nella vicenda oggetto delle contestazioni, stava conducendo un’inchiesta nell’ambito della quale aveva già autonomamente trovato, tramite le sue fonti, numerose notizie di rilevante interesse giornalistico relative a vicende veronesi e che in tale quadro stava solo “cercando di rafforzare i pilastri di un’inchiesta molto solida”.
Era stato sottolineato che l’attuale conduttore di Report aveva anche raccolto, sempre autonomamente, voci sull’esistenza di filmati che contribuivano a spiegare il quadro all’interno del quale sarebbero maturate alcune delle vicende oggetto dell’indagine giornalistica e quindi aveva accettato di incontrare due personaggi che asserivano di essere in possesso di tali video e che hanno registrato i colloqui con il giornalista. “Dalle registrazioni – era stato sostenuto in Vigilanza – emerge che non è stata attuata da Ranucci nessuna estorsione. Egli cercava invece riscontri ad un quadro informativo che aveva già ampiamente delineato con la sua attività investigativa di inchiesta giornalistica”.
Ancora: “Non era nelle sue intenzioni procedere ad acquisti e comunque non sarebbe stato nelle sue disponibilità. La decisione sugli acquisti di materiale filmato compete alla dirigenza di Rai Tre e il prezzo eventuale viene stabilito con il concorso di altre strutture aziendali”. “Colui che registrava Ranucci – era stato precisato nella Commissione ora presieduta da Barachini – gli aveva detto esplicitamente che colui che era in possesso del dvd, dove si parla di spartizione di appalti, era disponibile a cederlo in cambio di una lunga serie di rassicurazioni. Poiché l’obiettivo per Ranucci era “vedere” cosa c’era dentro questo dvd, al fine di accertare se le dichiarazioni raccolte corrispondevano al vero o erano menzogne, è stato al gioco. È dovere del giornalista, se ne ha notizia, cercare le prove”.
Ma tutto questo a Barachini & C. non basta. E neppure a Davide Faraone, di Italia Viva, che batte sui messaggi ricevuti dal conduttore, nonostante nel 2015 sedesse in Vigilanza lo stesso suo collega Michele Anzaldi, che magari avrebbe potuto informarlo. Altro che accertamenti da parte della Rai e della Corte dei Conti. Tutto chiaro da sette anni, ma a chi vuole solo colpire il giornalismo d’inchiesta non sembra interessare.