Sembra che questa volta, con la riforma del Consiglio superiore della magistratura, la ministra Marta Cartabia sia riuscita a mettere d’accordo tutti. Sfortunatamente per lei, la ritrovata unità nella maggioranza non è per complimentarsi sul testo – che oggi approderà in Consiglio dei ministri – ma per criticarla senza se e senza ma a causa di alcune eccezioni che rischiano di vanificarne il significato.
Si tratta di un fronte compatto composto dal Movimento 5 Stelle, dalla Lega e da Forza Italia, che sono pronti a fare le barricate contro il provvedimento pensato dalla guardasigilli. A far infuocare il dibattito, come intuibile, è la norma che dovrebbe mettere fine alle “porte girevoli”, ossia il divieto per i magistrati che entrano in politica di tornare poi indietro a vestire la toga. Punto, questo, su cui è ampia la convergenza delle diverse forze politiche e che, come noto, era al centro della riforma del Csm scritta dall’ex ministro Alfonso Bonafede (leggi l’articolo).
Oggi il testo della riforma Cartabia approda in Consiglio dei ministri
LE DIFFERENZE. Insomma la guardasigilli si era ritrovata sul tavolo una norma già scritta che, sostanzialmente, andava bene a tutti. Per questo in diverse occasioni la Cartabia aveva rassicurato il Movimento sul fatto che sarebbe stato mantenuto l’impianto pensato dal suo predecessore. Peccato che le cose sarebbero ben diverse perché la versione della riforma che domani arriverà in Cdm è diversa. A dispetto di quanto potrebbe sostenere qualcuno, la differenza è tutt’altro che marginale perché Bonafede prevedeva lo stop alle porte girevoli senza se e senza ma, la Cartabia invece intende vietare il ritorno alle funzioni di pubblico ministero e giudice solo per i magistrati che si candidano alle elezioni.
In altre parole la norma non vale per tutti i magistrati che vengono nominati nelle giunte comunali, regionali, o nel governo come ministri o sottosegretari, e che, dopo cinque anni, potranno tranquillamente riprendere a vestire la toga. Come se non bastasse con questa norma si verrebbe a creare anche un’ulteriore stortura visto che i magistrati candidati, anche in caso di mancata elezione, si troverebbero sbarrata la strada per tornare a vestire la toga.
IL FRONTE DEL NO. Con queste premesse era chiaro il malumore nella maggioranza. “Per noi non va assolutamente bene. Non esistono motivazioni giuridicamente e politicamente valide per queste esenzioni. Si tratterebbe solo di norme ad personam e ne abbiamo già avute abbastanza in passato” fa sapere all’Ansa la responsabile Giustizia di M5S, Giulia Sarti. Sul punto è d’accordo anche Giulia Bongiorno, responsabile Giustizia ed ex ministra del Carroccio: “La Lega è contraria al tema delle cosiddette porte girevoli: una volta che un magistrato decida di entrare in politica non può più ritornare a vestire la toga”.
Analoga posizione anche da Forza Italia con Antonio Tajani, coordinatore di Fi e vice presidente del Partito popolare europeo, che assicura: “Chiediamo non si possa essere candidati, deputati o consiglieri comunali e regionali, e poter poi fare ritorno immediatamente nella magistratura. Se si è candidati occorre un periodo di tempo prima di poter esercitare nuovamente la funzione di magistrato. Se si è eletti, non si può tornare a fare il magistrato, ma si può lavorare al ministero o ricoprire altri incarichi pubblici dello stesso livello”.
Davanti a tante critiche, la strada del provvedimento che questa mattina arriverà in Cdm appare già in salita. Per questo molti sono pronti a scommettere che questa notte andranno avanti le trattative per cercare un’intesa in extremis che, al momento, appare distante ma non impossibile.