Dietro al “flusso anomalo di denaro” tra le società dell’imprenditore Francesco Barachetti e quelle dei contabili Alberto Di Rubba (nella foto) e Alessandro Manzoni” non ci sarebbe altra spiegazione che quella di “una remunerazione dei due professionisti per la loro attività di intermediazione con il mondo della Lega, per conto del quale gestivano le spese”. È questo uno dei passaggi più importanti nelle 94 pagine di motivazioni della sentenza con cui il 23 dicembre i giudici di Milano hanno condannato Barachetti, con rito ordinario, per peculato e false fatture a 5 anni (leggi l’articolo).
Si tratta del processo stralcio sullo spinoso caso della Lombardia Film Commission che vede al centro dell’inchiesta la compravendita “gonfiata” di un capannone di Cormano, in provincia di Milano, alla fondazione partecipata da Regione Lombardia. Un’operazione ritenuta sospetta con cui, secondo i magistrati, sarebbero stati drenati 800mila euro di fondi pubblici.
RELAZIONI E AFFARI. Secondo quanto sostengono i giudici, i quali hanno pienamente accolto la ricostruzione offerta dalla Procura di Milano, Barachetti “ben conosceva” Di Rubba, all’epoca dei fatti presidente della Lombardia Film Commission, ritenendolo una “figura di riferimento per le commesse pubbliche”. A riprova di ciò, si legge nell’atto, il fatto che l’imprenditore “era stato introdotto” da Di Rubba “nel giro degli appalti concessi dai partiti Lega Nord, prima, e Lega per Salvini Premier, poi, oltre che da realtà giuridiche” collegate, come Pontidafin, Radio Padania e “dalla Lombardia Film Commission stessa, già a partire dal 2016”.
Quel che è certo, come messo nero su bianco dal procuratore aggiunto Eugenio Fusco e dal pubblico ministero Stefano Civardi, è che Barachetti è stato “il principale artefice di una complessa architettura contrattuale” che, con l’incremento dei costi di ristrutturazione, avrebbe gonfiato fino ad 800mila euro il prezzo del capannone di Cormano venduto alla Lombardia Film Commission. Lo stesso Civardi, durante la requisitoria, aveva spiegato che lo spregiudicato imprenditore era “un uomo di fiducia di Di Rubba” e che “dal mondo della Lega” avrebbe intascato circa 2,3 milioni di euro per alcuni lavori edili. Con queste motivazioni si chiude un’inchiesta piuttosto complessa e che ha dato non pochi grattacapi alla Lega.
Questo soprattutto perché indagando sul flusso di denaro circolato tra gli imputati, i magistrati hanno scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora che, poco a poco, ha portato l’inchiesta milanese a intrecciarsi con quella dei pubblici ministeri di Genova che, ormai da anni, lavorano sui 49 milioni di euro della Lega spariti nel nulla. In particolare ad avvicinare le due distinte indagini sono stati alcuni nomi che ricorrono in entrambi i procedimenti.
A creare apprensione alla Lega, però, c’è soprattutto il fatto che tra i protagonisti dell’inchiesta sulla compravendita di Cormano spicca anche Michele Scillieri, quest’ultimo ritenuto il commercialista di fiducia del Carroccio. Proprio lui, già condannato in abbreviato a 4 anni e 4 mesi, durante il procedimento aveva deciso di vuotare il sacco coi magistrati raccontando, come si legge nelle motivazioni della sentenza, che “una percentuale del denaro che lui stesso riceveva dalla fondazione Lombardia Film Commission, dal partito Lega Nord e dalla società Pontidafin per prestazioni professionali”, alcune che lui stesso ha definito addirittura “fittizie”, veniva “restituita al duo Di Rubba-Manzoni” quale “prezzo per aver ottenuto gli incarichi”.