di Alessandra Fassari
La Federal Reserve andrà avanti con il suo gigantesco piano di stimoli al mercato finanziario. Ieri sera l’annuncio della Fed, che ha subito spinto la Borsa di Wall Street, infondendo nuova fiducia sia sul comparto azionario che su quello obbligazionario. L’indice S&P ha toccato il suo nuovo record storico, con l’attesa di nuovi rally. Fugate dunque le paure per la riduzione di almeno 10 o 15 miliardi (su 85) nell’acquisto di debito pubblico a stelle e strisce. Un taglio atteso dal 22 maggio scorso, quando in un’audizione al Congresso, per la prima volta, il governatore della Fed aveva accennato a una possibile riduzione del terzo round del quantitative easing. Ancora ieri però Ben Bernanke non ha dato il via a questa immensa immissione di liquidità, con il cosiddetto tapering, cioè il termine pilotato degli aiuti.
Lo stop agli aiuti arriverà
Il rallentamento del ritmo con cui la Fed acquista ogni mese Treasury e bond ipotecari per 85 miliardi di dollari resta però nell’aria. Prima o poi questa forma di doping monetario dovrà infatti fermarsi. Come spiegato a Marketwatch da Scott Wallace, fondatore e capo degli investimenti di Ranger Asset Management, il tapering arriverà di sicuro nei prossimi mesi. Intanto però, il rinvio di ieri dà nuovo vigore alla ripresa Usa in generale e al settore immobiliare in particolare, in una fase in cui il recente rialzo dei tassi sui mutui sta già pesando sulle attività di compravendita. Effetti positivi anche sull’occupazione, dove si stanno facendo passi avanti verso il target fissato dall’amministrazione Obama. Target che fissa al 5,75% il tasso di disoccupazione; una soglia fisiologica che significa quasi piena occupazione. Attualmente la dissocupazione Usa è ferma al 7,3%, in calo dall’8,8% precedente al piano di stimoli, ma comunque in discesa meno del previsto. Proprio per questo erano stati gli ultimi dati deludenti proprio sul mercato del lavoro a dare qualche speranza su uno slittamento del doping monetario. Slittamento sul quale le Borse contavano molto. Ma c’è di più. Insieme alla disoccupazione giudicata ancora troppo alta (in Italia è quasi il doppio, con punte quasi quadruple nel caso del lavoro giovanile) non è in target neppure l’inflazione. Di qui il via libera alla prosecuzione degli stimoli della Fed.
Creati 2,3 milioni di posti
Ora, si può condividere o no la lezione americana, con i rischi di bolla monetaria che resteranno per decenni dopo la fine dell’attuale piano di stimoli all’economia. Ma un risultato non può essere negato. Un risultato che la Banca centrale europea guidata da Mario Draghi non ha mai provato a perseguire, un po’ per i suoi vincoli statutari, un po’ per precisa opposizione tedesca, Da quando è partita la doppia strategia dei tassi bassi (negli Stati Uniti sono a zero da anni) e di riacquisto di debito pubblico per importi giganteschi, proprio il Paese da cui è partita la crisi finanziaria mondiale ha visto creare due milioni e trecento mila nuovi posti di lavoro. In Europa, dove la politica di accomodamento monetario è stata di gran lunga più tiepida e ha prevalso una linea del rigore sui conti pubblici, in molti Paesi (Grecia, Spagna, Italia, Portogallo, Francia, ecc) abbiamo invece toccato il record storico di disoccupazione. Questo qualcosa vorrà pur dire, no?