Sarà un processo con dieci imputati quello davanti al Tribunale Vaticano per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato (leggi gli articoli). Un procedimento nato dal noto e discusso acquisto di un palazzo a Londra e per cui ieri sono stati disposti quattro nuovi rinvii a giudizio. I due tronconi del processo verranno quindi riuniti definitivamente nella prossima udienza, fissata per il 18 febbraio. Il Tribunale, presieduto da Giuseppe Pignatone, su richiesta del promotore di giustizia ha mandato nuovamente a giudizio i quattro imputati per i quali erano stati rinviati gli atti all’ufficio dell’accusa. Si tratta di Mons. Mauro Carlino, ex segretario del cardinale Angelo Becciu (nella foto), del finanziere Raffaele Mincione, dell’avvocato Nicola Squillace e del funzionario vaticano Fabrizio Tirabassi, per tutti i reati loro contestati.
Le nuove citazioni riguardano inoltre il cardinale Becciu limitatamente all’accusa di subornazione del testimone chiave, Monsignor Alberto Perlasca. Per l’altro imputato Tommaso Di Ruzza, ex direttore dell’Authority antiriciclaggio vaticana, l’Aif, è stata invece disposta l’archiviazione per un’ipotesi di peculato e il giudizio va avanti per le altre accuse. Il promotore di giustizia aggiunto Alessandro Diddi ha dichiarato che negli ultimi mesi, in cui le difese degli imputati avevano chiesto maggiori approfondimenti e gli interrogatori di chi non vi era stato sottoposto nella fase istruttoria, nessuno degli imputati si è presentato per essere interrogato. “Noi però – ha sottolineato Diddi – gli approfondimenti li abbiamo condotti ugualmente, depositando sette faldoni di nuovi accertamenti”.
Nel corso ieri della sesta udienza, durata 40 minuti, Pignatone quindi riferito di aver firmato il decreto di citazione, non avendo il potere di opporsi alla richiesta dell’accusa, e ha fissato la successiva udienza per il 18 febbraio. Le difese hanno invece avanzato ulteriori eccezioni di nullità del procedimento, per l’ancora omesso o incompleto deposito degli atti da parte dell’Ufficio del promotore di giustizia. Nello specifico, l’avvocato Fabio Viglione, difensore di Becciu, ha eccepito che c’è “un’amplissima parte dei documenti informatici” che non è stata consegnata nelle copie richieste, sostenendo che su una totalità di 255 supporti informatici sequestrati 239 non sono stati rilasciati in copia e nessuna delle copie consegnate “può essere qualificata come copia forense”.
L’avvocato Maria Concetta Marzo, altro difensore di Becciu, ha poi aggiunto che proprio la discussione di ieri sul deposito mancante di atti “ha motivato l’assenza del cardinale, per non ascoltare contenuti di dialoghi”, in particolare con riferimento alle dichiarazioni di Mons. Perlasca. Per l’avvocato, “ci sono punti di prova trattati negli interrogatori di cui negli atti consegnati non viene riportata neanche una parola” e in particolare il problema emergerebbe nell’interrogatorio di Perlasca del 23 novembre 2020, quando sarebbe stato “esplorato un sospettato rapporto intimo tra il cardinale Becciu e Cecilia Marogna”.
Il legale riferisce inoltre che si sente il promotore di giustizia chiedere a Perlasca dei rapporti tra il cardinale e la donna e che la risposta dell’interrogato è di non saperne nulla, ma che il magistrato del Vaticano insiste dicendo: “Ma come non sa nulla? L’ha mai sentito Maurizio Crozza che cosa ipotizza nelle sue trasmissioni? Il cardinale ha querelato l’Espresso e non fa niente a Crozza? Io l’avrei massacrato, gli avrei fatto male, cosa fai, non lo sfidi?”. Accuse respinte dal promotore di giustizia Diddi.