Una spinta ulteriore al bis di Sergio Mattarella arriva dal Partito democratico. Ma ancora più forte, seppure indirettamente, è giunta da Silvio Berlusconi, che ha aperto le danze per la Presidenza della Repubblica, preannunciando l’addio all’esecutivo nel caso in cui Mario Draghi dovesse traslocare a Palazzo Chigi. “Forza Italia non si sente vincolata a sostenere alcun governo senza Draghi a Palazzo Chigi, e, nel caso, uscirebbe dalla maggioranza”, ha detto.
Quella che è la sua vera autocandidatuta suona come un endorsement all’attuale capo dello Stato. Il motivo è sotto gli occhi di tutti: Mattarella è l’unico profilo capace di tenere insieme tutti. E soprattutto sarebbe la definitiva messa in sicurezza della legislatura, il desiderio che anima la gran parte dei parlamentari di Forza Italia. Proprio mentre Berlusconi agita lo spauracchio delle urne se Draghi va al Colle.
Certo, gli azzurri in pubblico lodano il loro leader, sposandone l’ambizione quirinalizia, senza mostrare un minimo cedimento. Il primo a incensare il capo è il senatore Maurizio Gasparri: “È già stato smentito che Berlusconi sarà eletto grande elettore, non so da dove sia venuta fuori questa notizia. Se Berlusconi deve essere eletto deve esserlo come Presidente”, ha dichiarato, seguendo il solco di tutti i principali esponenti forzisti. A cominciare dal coordinatore Antonio Tajani, che un giorno sì e l’altro pure fa professione di fedeltà. Ma non di soli sogni vive la politica. Per questo si fanno i ragionamenti su una possibile strategia alternativa.
I numeri sono testardi e confermano che l’ex premier non può raggiungere la quota dei grandi elettori necessari a diventare Presidente della Repubblica. Peraltro anche Coraggio Italia di Brugnaro e Toti, che conta su una trentina di voti, ha lasciato intendere di non volersi legare mani e piedi all’ex Cavaliere. Così il pallottoliere berlusconiano si indebolisce, senza contare i franchi tiratori pronti a impallinare il fondatore di Fi.
Nell’ex presidente del Consiglio, c’è pure la consapevolezza che un’eventuale sconfitta provocherebbe una reazione inattesa da parte di Berlusconi. Una conseguenza che temono pure gli alleati Matteo Salvini e Giorgia Meloni. L’unico nome spendibile per placare l’ira funesta berlusconiana sarebbe, volente o nolente, quello di Mattarella. Nel Pd, a pochi giorni dalla riunione congiunta della direzione dei gruppi dem, in calendario il 13 gennaio, la rielezione del capo dello Stato non sembra più tanto campata in aria. L’iniziativa, lanciata quasi in solitaria dall’area di Matteo Orfini, sta facendo proseliti.
“Bisognerà chiedergli un sacrificio”, è il mantra dell’ex presidente dem, che fa leva sull’emergenza in corso: di fronte a 200mila contagi al giorno, non c’è altra opzione, spiegano i suoi fedelissimi. Lo sguardo verso il Quirinale è insomma rivolto sempre più a Mattarella. “Mi sembra la soluzione più sensata”, ammette senza troppe remore il deputato Stefano Ceccanti. Tra le righe si intravede l’apertura da parte degli uomini vicini al segretario, Enrico Letta. “Noi insistiamo su un presidente della Repubblica garante dell’unità nazionale e per essere tale dobbiamo votarlo tutti assieme”, ha affermato l’ex ministro Francesco Boccia, senza sbilanciarsi sui nomi. Ma chi meglio dell’attuale capo dello Stato rappresenta questa garanzia?
LAVORIO SOTTOTRACCIA. Il consenso si va allargando, sottotraccia. Gli ex renziani, raggruppati oggi nella corrente Base riformista, si attengono alla linea della prudenza per non esporsi. Su questo tengono la posizione ufficiale del leader Letta. Ma a microfoni spenti La Notizia raccoglie una confessione: “L’ipotesi-Mattarella è per ora limitata a pochi, ma potrebbe crescere”. Del resto nell’area che fa capo al ministro Dario Franceschini, grande capo di tutte le trame tessute per i dem, cresce la tentazione dalla “voglia Mattarella”.
A conti fatti, sarebbe la soluzione migliore per due motivi: un po’ per questioni pandemiche, come ripetuto in ogni salsa, ma principalmente per ragioni politiche. Non potendo eleggere un altro profilo proveniente dal centrosinistra, il bis del Presidente in carica lascerebbe al Quirinale una personalità di quell’area. Insomma, nessun regalo a un settennato marchiato con il centrodestra. Il Pd, secondo i franceschiniani, può avere spazio di manovra, visto che Berlusconi tiene al guinzaglio gli alleati, costringendoli a un ruolo ancillare. Proprio quando avrebbero potuto gestire la partita.