Il tema politico del momento, che assume le sembianze di segretissime trattative e di nomi pubblicamente bruciati in partenza, è certamente l’imminente elezione del Presidente della Repubblica. Tra “Berlusconi” per alcuni e “Draghi” per molti, pronunciati come in una collettiva giaculatoria, irrompe la proposta di Giuseppe Conte e dei Cinque Stelle: mettersi d’accordo tutti per eleggere una Presidente donna (leggi l’articolo).
Scrivo “Presidente” non declinando il titolo al femminile non per distrazione, ma perché ritengo – come magistralmente fece l’attuale seconda carica dello Stato al momento della sua elezione precisando di non necessitare dell’accordo linguistico di genere per il suo titolo – che siano le battaglie di sostanza quelle da combattere e da vincere, non certamente quelle di bandiera.
IL TETTO DI CRISTALLO. Con questo non voglio dire che il linguaggio sia derubricabile a mero orpello, ma non si può ignorare che essendo un organismo “in divenire” muta avviluppato alla realtà di cui è un significativo aspetto. Uno. Ma se la sostanza che descrive non muta: lo sfondamento del tetto di cristallo per l’accesso alle cariche apicali, l’abbattimento del gap salariale, il superamento sociale della dicotomia “famiglia-lavoro” per una piena conciliazione dei tempi di vita – giusto per fare alcuni esempi – ecco che la parità di genere si arresta alla superficie, senza ingenerare quella rivoluzione profonda per la quale i tempi sembrano essere finalmente maturi.
Memorabile, sempre a proposito di Presidenti della Repubblica, quando Napolitano rivolgendosi all’allora Ministro dell’Istruzione Fedeli disse: “Valeria non si dorrà se insisto in una licenza, quella di reagire alla trasformazione di dignitosi vocaboli della lingua italiana nell’orribile appellativo di ministra o in quello abominevole di sindaca”. Applausi scroscianti da tutta la sala, fatta eccezione per la Boldrini che su queste campagne per i nomi egualitari ha costruito la sua transitoria fortuna.
SAREBBE ORA… Quella di Conte, solamente qualche anno fa, sarebbe stata letta come una provocazione utile per prendere tempo in assenza di un nome unitario maschile. Oggi non è più così. La pandemia ci ha consegnato un governo largo che tiene insieme forze partitiche antagoniste in nome di qualcosa di più grande: l’emergenza nazionale, prorogata formalmente fino al 31 Marzo. Ma questa stessa eterogeneità politica, impegnata a praticare l’ardua arte del compromesso per il bene comune, oggi è chiamata a sanare un’altra emergenza: quella democratica. A chi dice che in una società meritocratica una donna non deve essere investita di un potere solo in quanto donna, basta rispondere con i tanti straordinari nomi femminili che vanta il nostro Paese.
E a chi si illude che possa esserci unità su quel nome solo perché di una donna, basta rispondere comparando due personalità i cui nomi circolano tra gli altri in queste ore: Emma Bonino ed Maria Elisabetta Alberti Casellati. Nota la distanza siderale tra le due su temi quali aborto, diritti civili e migrazione. Questo, senza entrare nel merito dei programmi dei partiti di appartenenza e di cui sono state e sono ancora espressione, per dire che le donne che hanno l’opportunità di ricoprire cariche di rilievo non lo fanno mai come “foglie di fico” ma, al contrario, si espongono in prima persona mettendo in gioco tutte se stesse anche su temi violentemente divisivi. Senza paura, gettando il cuore oltre l’ostacolo. Ma quell’ostacolo oggi è giusto che non ci sia.