Scatta l’allarme antimafia sul Recovery plan. Il decreto, su cui il governo ha ottenuto la fiducia alla Camera, rischia di essere un autogol sul contrasto alle infiltrazioni mafiose. L’intenzione dichiarata è quella di potenziare il l’azione contro la criminalità con una serie di controlli. Perché su un punto sono d’accordo tutte le forze politiche: i soldi del Pnrr (qui il focus) fanno gola alle mafie.
TRA DIRE E FARE. All’atto pratico il contenuto delle norme potrebbe però aver aperto più di qualche spazio, utile per infiltrarsi, anche a causa di una “visione burocratica” della lotta alla criminalità organizzata. Almeno questo è quanto sostiene la componente l’Alternativa, che ha parlato di “pericolo di fare un regalo alle cosche”. Un attacco pesante. I motivi? Prima di tutto vengono introdotte procedure che accentrano molto potere nelle mani delle Prefetture, con la conseguenza di ingolfarle di lavoro, complicando la situazione già caratterizzata da una carenza di personale. C’è poi un allargamento delle maglie entro cui si possono insinuare le mafie, abili a sfruttare eventuali vuoti normativi, come i cambi di denominazione e di sede, mentre sono in corso le istruttorie prefettizie.
Il decreto Pnrr ha introdotto degli articoli che intervengono sull’antimafia. Il primo prevede un rafforzamento del ruolo del Prefetto per valutare l’eventuale occasionalità di infiltrazione in una ditta. D’altra parte la società, che si oppone la valutazione del prefetto, ha la possibilità di presentare ricorso al tribunale delle misure preventive per un’altra valutazione. Nel frattempo le lancette del tempo vanno avanti. “Questo produce un effetto negativo in termini di lungaggini del procedimento amministrativo”, spiega a La Notizia il deputato de L’Alternativa, Raffaele Trano (nella foto).
Il passaggio, a suo giudizio, “potrebbe consentire alle stazioni appaltanti pubbliche e agli enti erogatori di finanziamenti pubblici di procedere con l’eventuale erogazione anche in assenza di documentazione antimafia” appena “trascorsi 45 giorni dalla richiesta con l’inserimento di una clausola di risoluzione. Il parlamentare intravede così una sorta di “silenzio assenso sub condizione”.
Il testo innesta poi il “principio del contraddittorio”, che deve concludersi entro sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione del Prefetto. Una novità che ha tutte buone intenzioni, da parte del governo, perché c’è un confronto tra le parti sul rilascio della documentazione antimafia. A un certo punto, però, il meccanismo può incepparsi: le Prefetture sono infatti sempre più in affanno, a causa della mancanza di personale. C’è quindi un inevitabile allungamento dei tempi, con tutto quello che ne consegue in termini di attenzione nell’esame delle pratiche. E non solo.
“Alla ditta interessata – osserva Trano – viene concesso di effettuare, nel periodo precedente alla conclusione della procedura in contraddittorio, tutta una serie di operazioni. Per esempio, il cambio di sede, di denominazione, della ragione o dell’oggetto sociale, della composizione degli organi di amministrazione. Così si può eludere la normativa antimafia”.
Un cortocircuito, quindi. E del resto anche durante il confronto in commissione alla Camera alcuni parlamentari, presenti in commissione Antimafia come il dem, Walter Verini, e i 5 Stelle, Stefania Ascari, Davide Aiello, Luca Migliorino e Giulia Sarti, avevano sollevato qualche perplessità presentando un emendamento soppressivo dell’articolo sul principio del contraddittorio. Salvo poi rivedere le proprie posizioni.