Per Natale c’è poco da star sereni. Perché la quarta ondata della pandemia non vuol saperne di rallentare. Sebbene l’Italia non sia uno dei Paesi europei messi peggio anche qui la nuova impennata del Covid sta accelerando con ritmi sempre più serrati. I numeri parlano chiaro: dal 10 al 16 dicembre – secondo quanto riportato nell’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità (Iss) siamo passati da 176 casi (registrati dal report precedente) a 241 ogni 100mila di oggi. Un balzo netto che offre le fotografia di un Paese dove la pandemia, seppur con numeri ancora inferiori a quelli di altri Stati Ue, sta guadagnando terreno senza sosta.
I NUMERI
È leggermente in calo, invece, l’indice di contagio Rt medio sui casi sintomatici che – pur mantenendosi sopra 1, quindi oltre il valore di espansione dell’epidemia – passa da 1,18 a 1,13. Le prime e più lampanti conseguenze risiedono nelle ospedalizzazioni. Infatti, nelle terapie intensive siamo al 9,6 per cento di letti occupati, contro l’8,5 per cento registrato una settimana fa, ormai vicinissimi alla soglia critica del 10 per cento. Mentre è ancora maggiore lo scarto settimanale negli altri reparti dedicati ai pazienti affetti da Coronavirus, dove si è passati da 10,6 per cento a 12,1 per cento, anche in questo caso con un deciso avvicinamento alla soglia di rischio del 15 per cento. Tanto che sono ormai 18 le regioni che rientrano nella fascia di rischio medio, e una che è classificata a rischio alto. Tra quelle a rischio moderato, spiegano gli esperti dell’Iss, “tre sono ad alta probabilità di progressione a rischio alto. Mentre per una Regione non è stato possibile valutare la progressione. Due Regioni sono classificate a rischio basso. Sono 13 le Regioni che riportano un’allerta di resilienza, una Regione riporta molteplici allerte di resilienza”. È inoltre in forte aumento il numero di nuovi casi non associati a catene di trasmissione (42.675 contro 37.278 della settimana precedente).
IL TRACCIAMENTO
La percentuale dei casi rilevati attraverso l’attività di tracciamento dei contatti è in diminuzione (31 per cento contro 34 per cento la scorsa settimana). È in aumento la percentuale dei casi rilevati attraverso la comparsa dei sintomi (43 per cento contro il 40 per cento), mentre è stabile la percentuale di casi diagnosticati attraverso attività di screening (26 per cento). Con questi numeri il ministro della Salute, Roberto Speranza, non poteva non prendere provvedimenti ed ha così firmato la nuova ordinanza che sancisce il passaggio in zona gialla per Marche, Liguria, Veneto e provincia autonoma di Trento ritenuti territori più ad alto rischio contagio da covid19. Ma quali sono i numeri che decretano il passaggio in zona gialla di una regione? I dati che vengono presi in considerazione sono quelli che riguardano l’incidenza dei contagi ogni 100 mila abitanti, la percentuale di occupazione dei posti letto in area medica di pazienti Covid e la percentuale di occupazione delle terapie intensive.
ITALIA A COLORI
Al momento, le regioni che fanno registrare i numeri peggiori sono – ovviamente – quelle che sono già in zona gialla o che diventeranno gialle dalla prossima settimana. Friuli-Venezia Giulia, Provincia autonoma di Bolzano, Calabria, Provincia autonoma di Trento, Veneto, Marche, Liguria. Ricordiamo le regole per il passaggio: si va in fascia gialla con 50 casi settimanali ogni 100mila abitanti e un’occupazione dei posti letto in terapia intensiva pari al 10 per cento e in area medica pari al 15 per cento. Si va in zona arancione quando si ha tra i 150 e i 250 casi ogni 100mila abitanti, l’occupazione in terapia intensiva oltre il 20 per cento e in area medica oltre il 30 per cento. C’è da dire anche che il Veneto, guidato Luca Zaia, si era già mobilitato in maniera autonoma anticipando l’ordinanza del ministero. Il Veneto – di fronte a un aumento record di contagi – anticipa la zona gialla, con un’ordinanza di “principi e raccomandazioni” illustrata ieri proprio da Zaia. L’ordinanza è entrata in vigore dalla scorsa mezzanotte e sarà in vigore fino al 16 gennaio. Al di fuori delle abitazioni la mascherina va usata subito, sempre all’aperto, ad eccezione dei bambini sotto i 6 anni e i soggetti con patologie e disabilità. Per gli operatori sanitari e socio-sanitari, viene accorciata a quattro giorni la frequenza dei test per lo screening – finora era ogni 10 giorni – indipendentemente dallo stato di vaccinazione; lo stesso avviene al momento del ricovero e ogni quattro giorni per i degenti.