di Angelo Perfetti
Mentre la vita quotidiana a Damasco ha ormai ripreso una parvenza di normalità, la diplomazia internazionale sembra aver capito che il rischio di una guerra totale è troppo alto da sostenere, sia per gli Usa che per il resto del mondo. E allora arrivano in serie segnali di distensione, mediati ovviamente dall’esigenza che ciascun attore internazionale ha di preservare la propria immagine verso l’esterno ma soprattutto vero l’interno. Annunci o, al contrario, silenzi che apparentemente nulla hanno he vedere l’uno con l’altro, ma che visti da lontano sembrano essere figli della stessa volontà di non esacerbare gli animi, arrivati già a un passo dallo scontro finale.
Le armi chimiche
Gli usa hanno fatto nei giorni scorsi una serie di retromarce. La prima è stata quella sull’uso millimetrico della forza, annunciando l’intenzione di non voler fare raid a tappeto né tantomeno di far entrare soldati in Siria. Di più: gli attacchi semmai sferrati avrebbero avuto un timing preciso, dunque non sarebbero stati reiterati fino all’annientamento dell’avversario. Poi, seconda retromarcia, l’ok al piano russo sul disarmo chimico di Assad, seppur mediato – ma abbiamo già evidenziato i motivi – dallo scetticismo sull’effettiva volontà di Damasco di adeguarsi ai dettami internazionali. Ieri Russia e Siria hanno discusso l’attuazione dell’accordo sulle armi chimiche in un incontro a Mosca tra il vice ministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, e l’ambasciatore di Damasco, Riadh Haddad. Notizia data dall’agenzia Itar-Tass citando il ministero degli Esteri di Mosca, cioè fonte ufficiale. Il dialogo va avanti. E infatti i ministri degli Esteri russo e britannico, Serghiei Lavrov e William Hague, hanno discusso poi per telefono sull’attuazione dell’accordo sulle armi chimiche in Siria. “Le parti – si legge in una nota – si sono scambiate opinioni sulla situazione attuale in Siria nel contesto dell’accordo russo-americano sul trasferimento delle armi chimiche siriane sotto controllo internazionale e sulla ricerca di soluzioni per risolvere politicamente la crisi siriana”. In tutto questo parlare c’è una voce che da qualche giorno sembra essere sparita: quella della Francia, che è stata la più vicina a schiacciare il bottone rosso. Anche questo è un segnale. E l’Onu ha eliminato nell’ipotesi di risoluzione il “capitolo 7”, quello sull’intervento armato.
Iran e internet
La finestra sul blocco totale di accesso alla rete in Iran si è aperta solo per poche ore, poi richiusa dal regime. Si è parlato ufficialmente di un bug del sistema nazionale, che ha mandato in tilt per un po’ la censura che da quattro anni impedisce l’accesso Facebook e Twitter; improvvisamente è stato consentito l’accesso ai social network americani senza ricorrere a software pirata. Quasi subito però i filtri sono tornati in azione e le autorità hanno spiegato il fenomeno con un problema tecnico e non con una decisione di restituire gradualmente agli iraniani quelle piattaforme che erano servite per organizzare le proteste di piazza del 2009 e per questo da allora bloccate. Ma è una spiegazione che non convince: in un Paese dove da tempo è ormai tutto sotto stretto controllo del regime, pensare ad uno sbaglio è quantomeno ingenuo. Il vento nuovo che comunque soffia sulle rete iraniana si percepisce da piccoli segnali. Nonostante la censura e le smentite che diversi altri componenti del governo facciano altrettanto, il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif ha una sua pagina su Facebook e un account certificato su Twitter. E, come notava un internauta, cercando di accedere a Facebook senza filtro non si incappa più nelle schermate piene di bellissimi fiori o monumenti antichi dell’indirizzo ‘’peyvandha.ir’’ (collegamenti.ir) i quali addolciscono l’amara pillola della negazione di una libertà di scelta.
Lo sconforto dei rivoluzionari
‘’Siamo molto frustrati’’ dalla mancanza di un’azione decisa contro il regime di Assad”. Lo ha detto il comandante dell’Esercito libero siriano, Selim Idriss, in un’intervista rilasciata via Skype alla Pbs, la tv pubblica statunitense. ‘’E’ ormai chiaro a tutti che siamo di fronte a crimini di guerra. C’e’ un regime criminale, c’è un presidente assassino’’, spiega Idriss, riferendosi al rapporto degli ispettori Onu. ‘’Ma a questo punto credo – ha concluso – ci sia una chance molto piccola per un intervento militare dall’esterno’’. Una dichiarazione di resa per nulla attenuata dal contentino che Obama ha fatto, infrangendo le diposizoni americane sull’invio di arsenale all’estero, autorizzando l’invio di equipaggiamenti per la protezione da attacchi chimici che andranno alle organizzazioni
internazionali e a gruppi selezionati dell’opposizione.