E alla fine l’atteso incontro tra Giuseppe Conte e Mario Draghi c’è stato. Un’ora e mezza di colloquio tra il capo dei Cinque Stelle e il premier (leggi l’articolo) per ribadire la linea e le richieste del Movimento, ma soprattutto, per stoppare le ambizioni di Draghi verso il Quirinale. L’ostacolo di inciampo è stato gettato dall’ex presidente del Consiglio nella forma di una richiesta di proroga dello stato di emergenza a causa della variante Omicron e della comunque prevedibile crisi sanitaria che avrà il suo culmine come sempre d’inverno.
QUIRINAL PARTY. Tradotto dal politichese è una chiara indicazione a Draghi circa l’impossibilità di puntare a fare il presidente della Repubblica quando il Paese nel pieno della quarta ondata. Tanto che, a stretto giro, da Palazzo Chigi trapela la notizia (leggi l’articolo): Draghi avrebbe deciso di prorogare lo stato di emergenza fino al 31 marzo (il Consiglio dei ministri dovrebbe tenersi oggi alle 17).
Dunque i Cinque Stelle calano una forte carta politica che getta luce sui possibili scenari per la corsa al Colle anche perché un Draghi al Quirinale renderebbe più plausibili le elezioni anticipate che non gioverebbero al Movimento. Le ipotesi sono diverse, ma escludendo Berlusconi (nonostante le sue lusinghe), si sta cercando una figura di alto profilo.
Conte ha preso atto della volontà di Mattarella di non ricandidarsi per un secondo mandato come fece Napolitano, ma in politica non si può mai escludere nulla. Appare difficile anche un appoggio al candidato di una parte della destra – Salvini – che è Pierferdinando Casini, giocato ora dalla Lega in chiave tattica contro Berlusconi e la Meloni probabilmente per lucrare sul prezzo politico del voto mentre Matteo Renzi, dalla festa di Fdi Atreju indica l’intero centrodestra come “king maker avendo il 45% dei grandi Elettori.
Conte ha rispolverato le “Quirinarie” online per decidere il candidato da supportare. Dopo tutto M5S ha ancora 231 parlamentari tra le due Camere, ma sono di difficile gestione perché molti di loro non saranno rieletti e quindi venderanno cara la pelle nel senso che non è detto che non ci siano molti franchi tiratori. Non è da escludere neppure un accordo tra 5S e Pd su un nome condiviso. Che toglierebbe ai giallorossi le castagne dal fuoco.