Durante il ventennio fascista, e più che mai quando si iniziò a perdere la guerra, nel Paese girava l’aneddoto di Mussolini che prendeva decisioni sbagliate a causa dei suoi collaboratori. La stampa dell’epoca, complice e sottoposta a censura, presidiava il culto del Duce, e così quando si vinceva il merito era del capo del governo mentre, in caso contrario, la colpa era dei gerarchi. Né più né meno di quanto non accada oggi con Draghi.
Prendiamo lo sciopero generale indetto da Cgil e Uil (leggi l’articolo) per il banalissimo motivo che la Manovra in arrivo darà poco ai ceti medi e niente a quelli bassi. A sentire tv e quotidiani, il Presidente del Consiglio voleva accontentare i sindacati, e stava cercando soldi dappertutto, a quanto pare anche dirottando i fondi per i disabili stanziati dal precedente Esecutivo Conte, ma è stato bloccato da quei cattivoni dei partiti.
Ora, premesso che la Manovra è tutt’ora working in progress, la barzelletta del piccolo premier a cui dettano l’agenda fa già ridere prima ancora di raccontarla. Le forze politiche difendendo le loro trincee, come hanno fatto ieri i 5 Stelle su Reddito di cittadinanza e Superbonus 110% (cioè il motore dell’attuale ripresa al 6%).
Ma poi le decisioni le prende il primo ministro, e se questo rinuncia ad incontrare i sindacati per un ultimo tentativo di mediazione prima dello sciopero è lui e non i partiti ad assumersi la responsabilità dello scontro con questa parte sociale. Dunque, meno balle per favore e diamo a Draghi quello che è di Draghi, a partire dalla responsabilità di una Manovra che allarga la forbice tra i ricchi e tutti gli altri.