Dopo la chiusura delle indagini dello scorso luglio (leggi l’articolo), sembrava sparita nel nulla l’inchiesta sul camici-gate lombardo. Una calma apparente che è stata spazzata via ieri quando la Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, su cui pende l’accusa di frode in pubbliche forniture.
Oltre al leghista, la richiesta di processo riguarda anche Andrea Dini, titolare di Dama e cognato del presidente di Regione, Filippo Bongiovanni e Carmen Schweigl, rispettivamente ex direttore generale e dirigente di Aria spa, e, infine, Pier Attilio Superti, vicesegretario generale della Regione. Si tratta della ben nota inchiesta sull’affidamento, avvenuto il 16 aprile 2020, da parte della Regione Lombardia di una fornitura, poi trasformata in donazione, da circa mezzo milione di euro di 75 mila camici e altri dispositivi di protezione a Dama, la società di Dini.
L’INCHIESTA. Secondo quanto si legge nell’avviso di conclusione delle indagini, firmato dal procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli e dai pubblici ministeri Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas, appare evidente l’esistenza di un “accordo collusivo intervenuto” tra Dini, patron di Dama spa, “e il cognato Fontana”, “con il quale si anteponevano all’interesse pubblico, l’interesse e la convenienza personali del Presidente di Regione Lombardia” che da “soggetto attuatore per l’emergenza Covid” si “ingeriva nella fase esecutiva del contratto in conflitto di interessi” sull’ormai nota fornitura trasformata in donazione.
Non solo. Per i magistrati, la frode nella pubblica fornitura sarebbe stata messa in atto, si legge nello stesso documento, “allo scopo di tutelare l’immagine politica del Presidente della Lombardia, una volta emerso il conflitto di interessi derivante dai rapporti di parentela” con il titolare di Dama spa, società di cui la moglie di Fontana, Roberta Dini, aveva una quota del 10%.
BOTTA E RISPOSTA. Un’inchiesta delicata con cui i pm hanno provato a far luce su uno dei momenti più duri per la Lombardia che, proprio mentre avveniva il cosiddetto camici-gate, stava affrontando la drammatica prima ondata della pandemia. Proprio per la gravità delle accuse, gli indagati avevano chiesto di essere interrogati dai magistrati salvo poi fare marcia indietro al momento della conclusione indagini, preferendo depositare alcune memorie difensive.
A spiegare il passo indietro era stato l’avvocato Jacopo Pensa secondo cui “il presidente Fontana ritenendo evento utopistico che la Procura, dopo l’avviso di chiusura indagine, possa mutare impostazione accusatoria a seguito di un suo interrogatorio ha deciso di riservare le proprie difese alle fasi processuali successive di fronte a giudici terzi”. Proprio il difensore, ricevuta la notizia della richiesta di rinvio a giudizio, ha commentato: “Tutto come volevasi dimostrare. Non c’è nulla di sorprendente, ma devo ammettere che non avevo mai visto una donazione diventare reato. Fontana è certo della sua estraneità alle vicende contestate e lo dimostreremo”.
Ma se la giustizia deve ancora fare il suo corso, per il capogruppo del Movimento 5 Stelle in Regione Lombardia, Massimo De Rosa, sono evidenti “le responsabilità in merito all’inadeguatezza politica dell’amministrazione Fontana e del centrodestra a trazione leghista in Lombardia”. “Questa è la Giunta degli scandali e delle gaffe e così sarà archiviata dai lombardi” conclude De Rosa.