Tira una brutta aria in Via Bellerio e questa non è certo una novità negli ultimi tempi. Tant’è che l’assemblea programmatica prevista per i prossimi 11 e 12 dicembre, annunciata al termine del tesissimo Il Consiglio federale del 5 novembre scorso, convocato in via eccezionale, da Matteo Salvini per ribadire il “suo mandato pieno” sulla linea da seguire a fronte delle uscite – sempre più frequenti e sempre più in collisione con quelle del segretario federale – del suo vice e ministro molto vicino al premier Giancarlo Giorgetti.
Dunque, quella che doveva essere l’occasione per definire la strategia del partito ormai in balia degli eventi, per fare un punto della situazione con parlamentari, governatori, sindaci, esponenti di Governo ed eurodeputati e per “sancire, aggiornare e decidere i binari su cui viaggiare”, non ha retto all’urto dell’ultima clamorosa débâcle salviniana: quella sul Green Pass (leggi l’articolo).
Ufficialmente la decisione, secondo fonti parlamentari leghiste, sarebbe legata proprio alla difficoltà di organizzare una riunione con un migliaio di partecipanti nel momento in cui il governo ha deciso per un’ulteriore stretta sul certificato verde. Vero e propria bestia nera di Salvini che sulla gestione della pandemia da parte dell’esecutivo Draghi ha sempre avuto un atteggiamento quantomeno ambiguo, con continui stop and go, fughe in avanti per poi fare clamorosamente marcia indietro
LINEA FALLIMENTARE. Non più tardi di qualche settimana fa (il 21 ottobre per l’esattezza) il leader leghista sbraitava contro quella che definiva “Una limitazione che esiste solo in Italia”, chiedendosi se fosse “Un eccesso nostro o sbagliano gli altri Paesi”. E ancora: “Se ci sono milioni di italiani che domani sono in difficoltà per lavorare, noi siamo per aiutarli, sul modello europeo, allungando la durata del tampone, estendendo l’utilizzo di tamponi rapidi e gratuiti”.
Ma la linea dei test gratuiti per i non vaccinati non è mai stata presa in considerazione dall’esecutivo né tantomeno l’eventualità – anche questa richiesta a gran voce da Salvini – di allungare la validità di tutti i tamponi da 48 a 72 ore. Ovviamente anche sul nuovo decreto Covid che ha introdotto il Super Green Pass capo del Carroccio era sulla linea dura, alla cabina di regia aveva mandato il sottosegretario Freni – che ha sostituito il suo fedelissimo Durigon – e non i ministri (tutti sulla linea dei governatori leghisti, e dunque favorevoli a ulteriori restrizioni) proprio per gestire la trattativa. Che invece gli è sfuggita di mano visto che nel Consiglio dei ministri di mercoledì le nuove misure sono passate all’unanimità, come ha sottolineato il premier in conferenza stampa (“è importante che il Governo sia compatto, che non ci siano cedimenti o posizioni diverse come tante altre volte in passato”).
Non solo Governo compatto ma anche in sintonia con la Conferenza delle Regioni presieduta dal leghista Massimiliano Fedriga (non a caso lodato e ringraziato dall’ex numero uno della Bce per “l’interlocuzione molto proficua”…) il quale, pur mettendo le mani avanti per salvare almeno le apparenze (“Con Salvini mi sono sentito quotidianamente in questi giorni. Ho letto di ricostruzioni dove ci sarebbero state delle discussioni accese, ma così non è stato”) di fatto da giorni chiedeva all’Esecutivo di differenziare le misure restrittive in relazione alla vaccinazione con il tampone consentito solo per andare al lavoro. Insomma, non proprio una posizione in linea con quella del suo segretario federale, che ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco.