Che la Camera possa riuscire a modificare la Manovra appena sbarcata in Senato è una pia illusione. E tutte le forze politiche e del governo e dell’opposizione sono di questo ben consapevoli. La legge di Bilancio – il Governo dei migliori è stato costretto a riscriverla (leggi l’articolo) – è arrivata a Palazzo Madama con un mese di ritardo. E il timing dell’iter in Senato conferma che lo spazio e il tempo per sperare che anche Montecitorio possa dire la sua sono risicatissimi.
IL CALENDARIO. È stata fissata alle 17 di lunedì 29 la presentazione degli emendamenti in commissione Bilancio. Entro il 1° dicembre poi dovranno arrivare le segnalazioni sulle proposte di modifica (400). L’esame degli emendamenti potrebbe durare 7-9 giorni, arrivando così al via libera nella V commissione tra il 13 e 14 dicembre. Il provvedimento dovrebbe quindi approdare in aula il 17. Dopo il via libera al Senato, una veloce seconda lettura è prevista alla Camera tra il 20 e 23 dicembre per l’approvazione definitiva. Praticamente si deciderà tutto al Senato.
In una sorta di monocameralismo di fatto. Fratelli d’Italia ha preso carta e penna e fatto due calcoli. Contingentare a 400 gli emendamenti complessivi che potranno essere presentati e discussi significa, dice il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, che ogni parlamentare della Repubblica avrà a disposizione 0,4 emendamenti per modificare la legge di Bilancio. “Ho sempre avuto cautela – dice l’esponente di FdI – nell’accusare Draghi di scivolamento verso uno Stato autoritario, ma di fronte a questa palese violazione delle prerogative del Parlamento, occorre denunciare una lesione delle regole democratiche. Contingentare a 400 gli emendamenti complessivi che potranno essere presentati e discussi, oltretutto soltanto al Senato perché alla Camera la Manovra arriverà blindata, significa ritrovarsi non in un semipresidenzialismo di fatto, come si favoleggia, ma in una oligarchia autoritaria”.
Ma non è solo l’opposizione a lamentarsi. L’andazzo è stato denunciato praticamente da tutti i partiti. Il presidente della Camera, Roberto Fico, ha espresso l’auspicio che anche Montecitorio possa riuscire, laddove servisse, ad apportare modifiche alla Manovra. L’esponente pentastellato ammette una sorta di cortocircuito Governo-Camere nell’iter delle leggi. “Il Parlamento non è marginalizzato – dice – però abbiamo un problema: un eccessivo uso dei decreti, che non è solo in questa legislatura, ma è qualcosa che avviene da molto tempo, l’uso smodato delle fiducie, con le letture spesso monocamerali”.
I NUMERI. I dati confermano le preoccupazioni di Fico. Degli 83 decreti convertiti da inizio legislatura solo 4 sono stati modificati in seconda lettura. Con il governo Draghi poi nessun decreto è stato modificato nel secondo ramo. A denunciare questa situazione sono i partiti di entrambi gli schieramenti. Il Pd, con una lettera a prima firma di Debora Serracchiani, ha scritto allo stesso Fico per chiedere che da qui a fine anno i lavori in Aula e in commissione siano intensificati, prevedendo seduta dal lunedì al venerdì. Ma anche irrobustendo il calendario i tempi rimangono strettissimi.
Considerando anche la battaglia che si aprirà al Senato sulle modifiche. Tanto che il numero uno della Commissione Bilancio di Palazzo Madama, Daniele Pesco, propone un patto di non belligeranza tra i gruppi sui temi identitari “altrimenti non ne usciremo. I tempi sono strettissimi”.