C’è la storia di un possibile complotto, con un piano (vergato dal giornalista Fabrizio Rondolino) per costruire una sorta di struttura Delta (leggi l’articolo) volta a screditare giornalisti e avversari politici di Matteo Renzi (agli atti dell’inchiesta Open sebbene penalmente irrilevante). Ma il quotidiano La Repubblica sembra più interessato ad un’altra spy story cui ieri ha dedicato pure un richiamo in prima. Il titolo è roboante: “Trump, il voto e QAnon la strana indagine Usa a caccia dell’Italygate”. Salvo scoprire in coda all’articolo che si tratta di una storia “pazzesca” e “assurda” per ammissione stessa di chi l’ha rivelata.
SPY STORY ASSURDA. Certo, il bersaglio è di quelli grossi: il complotto italiano ordito con l’aiuto dei satelliti militari di Leonardo per rovesciare con tecniche sofisticatissime il risultato del voto delle presidenziali Usa a favore di Joe Biden contro Donald Trump. Repubblica quindi recensisce un libro, Betrayal, di Jonathan Karl, giornalista dell’Abc. Siamo in pieno Governo Conte 2, che da “amico” (“Giuseppi”) è diventato “nemico” di Trump e quindi ordisce una congiura grazie alla rete satellitare di Leonardo e con l’aiuto di due hacker napoletani arrestati per essersi copiati 10 gigabyte di dati Leonardo e quindi detenuti nelle patrie galere.
Lo stesso Karl definisce la storia “pazzesca, affascinante e assurda”, ma questo non basta a Repubblica per dedicarle una pagina intera (la 19) con tanto di richiamo in prima come se fosse vera. L’amministrazione Trump partirebbe da uno “stravagante rapporto” a metà dicembre 2020 che appunto descriveva il complotto dei satelliti per fottere Trump e in quel clima esagitato che precedeva di poco l’assalto dei vichinghi cornuti a Capitol Hill trovò subito naturale usbergo. Infatti tra gli assalitori furono viste magliette con su scritto “Italy did it” (“è stata l’Italia”) che è un po’ l’equivalente del più noto “Ha stata Virginia” per tutte le nefandezze che avvenivano nella Capitale.
In breve fu avvisato l’addetto militare dell’ambasciata Usa a Roma che subito si mosse per far interrogare in carcere i due detenuti e saperne di più. Lo stesso ambasciatore Eisenberg, dice il libro, che se la faceva sotto per la strizza di non aver combinato un tubo per il suo Paese quando era in Italia, volò repente a Washington per “motivi di sicurezza personale”. L’articolo repubblichino termina con una ciliegina finale: “Ora resta solo da capire quanto sapesse il governo italiano, e fino a che punto si è spinto per assecondare questa follia”. Appunto, follia.
L’ALTRO “GOMBLOTTO”. La seconda storia è più casereccia ed ha il sapore della burrata e del caciocavallo e riguarda un fantomatico agente segreto nostrano che si sarebbe materializzato al segretario dell’Udc Lorenzo Cesa per ammonirlo a “comportarsi con saggezza” e votare a favore di Conte. La storia è una anticipazione contenuta nel solito libro che Bruno Vespa ammolla ogni inizio anno da tempo immemorabile. Ma Antonio De Poli, Paola Binetti e Antonio Saccone, il 18 gennaio 2021 votarono contro la fiducia al governo (che la ottenne comunque nei due rami) e quindi il 21 gennaio la casa romana di Cesa fu perquisita da uomini della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro con l’accusa di “associazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso”, per ordine del procuratore Nicola Gratteri.
Subito dopo, probabilmente lo stesso giorno, ci fu l’epifania dello 007 con il relativo messaggio sulla saggezza. Secondo vari giornaloni l’epifania era un avvertimento di Palazzo Chigi a trazione giallorossa per spaventare il povero Cesa e far votare i suoi a favore della relazione Bonafede sulla prescrizione al Senato prevista per il 27 o il 28 gennaio. Il Fatto ipotizza che la barba finta possa essere Marco Mancini legato alla famosa vicenda dell’incontro in Autogrill con Renzi. Allora Mancini ambiva a diventare vicedirettore dell’Aisi (servizi interni), ma non ottenne l’agognato riconoscimento.
Ma se fosse Mancini la storia non starebbe in piedi perché non è plausibile che Conte lo abbia punito appena il giorno dopo la sua visita a Cesa, mentre la versione dell’intimidazione all’esponente Udc da parte di Gratteri non sta in piedi perché la posizione di Cesa fu stralciata poco tempo dopo dalla stessa Procura. In tutto questo Repubblica, a proposito di spy story, non sembra dare la stessa rilevanza ad altri “gialli” ben più attuali e documentati: dall’incontro tra Renzi e l’ex 007 Mancini (con tanto di video realizzato in autogrill) alle carte dell’inchiesta sulla Fondazione Open, con tanto di carteggio (vero) su una sorta di struttura Delta (bocciata, ha assicurato lo stesso Renzi) come braccio armato del renzismo. Quando si dice stare sul pezzo.