Ed un dramma si sta consumando in qualche attico del centro storico di Roma, di quelli con la bandiera multicolore della pace che sventola garrula alle prime tramontane autunnali e la Ztl a portata di mano, nascosta tra una tartina di salmone e un calice di Champagne.
FESTA ROVINATA. “C’era un ragazzo” – cantava Gianni Morandi – che non amava i Beatles, ma che si era illuso, un ragazzo biondino che era esploso di gioia, un ragazzo che sognava in grande: il Campidoglio, e poi chissà la Pisana e poi su sempre più in alto, magari Montecitorio. Il dramma ha un nome ed anche un cognome: Francesco Carpano. è lui infatti il “ragazzo” a cui fa spesso riferimento Carlo Calenda, lui avrebbe dovuto entrare in Aula Giulio Cesare al posto dell’ex ministro e già c’aveva l’acquolina in bocca.
Dei cinque seggi presi da Calenda due sono andati infatti ad Italia Viva e tre ad Azione. Carpano così si raccontava nelle interviste: “Ho 28 anni, sono laureato in Scienze Politiche alla Luiss. Ho scelto questo percorso perché sono innamorato della “cosa pubblica”. E ancora: “Ho iniziato un percorso nelle istituzioni, dopodiché ho intrapreso una parentesi lavorativa in Cassa Depositi e Prestiti, con un contratto a tempo indeterminato – che per un giovane, di questi tempi, è importante -. In seguito, ho abbandonato Cdp per seguire la mia passione: la politica. Carlo Calenda mi ha proposto di dirigere il Centro Studi di Azione, e io ho accettato”.
Peccato che ora il biondino, che ha inopinatamente mollato Cdp dove stava a tempo indeterminato, sia rimasto fregato dalla brutalità della vita e di quella “res publica romana” a cui ambiva. Il tutto per dire che Calenda, con una sua tipica mossa, dopo aver proclamato ai quattro venti che si sarebbe dimesso da consigliere capitolino ha fatto una rapidissima marcia indietro gettando nello sconforto il “ragazzo”.
Infatti il Calenda, bersaglio di critiche concentriche sul suo disinteresse per Roma, voleva fare il bis e seguire l’esempio dell’altro trombato e cioè quell’Enrico Michetti che nessuno conosceva e conosce, e darsela alla chetichella per papparsi in santa pace i benefit e i lauti stipendi europei. Ma poi qualcuno deve avergli fatto notare che figuracce di tal guisa rimangono appiccicate come un chewing gum alla onorevole giubba di un politico e così il nipote di Comencini, proprio come in un film dell’illustre avo, ci ha ripensato fregandosene sul profondo significato antropologico – che soprattutto a Roma – ha il ripensamento che ingenerosamente si associa ai cervi. E così Calenda ha detto che per ora resta, con buona pace del povero “ragazzo” Carpano che già pregustava la festa.
POVERO CRISTO. Ed in effetti la gente s’è proprio rotta di politici che utilizzano il voto come bus, si fregano i voti e poi fanno come gli pare. Pertanto il povero Calenda è rimasto fregato nel senso che gli toccherà davvero farsi un mazzo blu come consigliere comunale in quella bolgia che è l’Aula Giulio Casare e che niente in vero ha da invidiare all’arena di Spartacus a Capua dove si mazzano i gladiatori dell’omonima e fortunata serie televisiva.
Perché Calenda non è fesso e in crapa c’ha solo un pensiero: le elezioni politiche e il consolidamento del partituccio. Ed ora, povero Cristo, impegnato a battagliare come in un condominio di Tor Bella Monaca, come farà a comporre le sofisticate strategie che lo porterebbero, secondo lui, a rendere omomorfe le sue terga ad una poltrona vellutata (se in Senato) o volgarmente pellata (se alla Camera)?