Ha una manciata di giorni la Lega per non sfigurare sulle pensioni. Dopo la batosta alle amministrative e soprattutto dopo che il M5S in manovra ha ottenuto la blindatura della sua misura bandiera (il Reddito di cittadinanza), il Carroccio non intende incassare in silenzio la sconfessione del suo cavallo di battaglia: Quota 100. Sebbene, numeri alla mano, questa non abbia favorito, così come si proponeva, il passaggio di testimone dai più anziani ai più giovani.
Il governo, con il ministro dell’Economia Daniele Franco, ha presentato in prima battuta la proposta di Quota 102 nel 2022 e Quota 104 nel 2023. Alcuni aggiustamenti sono possibili, ha fatto capire il duo Draghi-Franco, ma tenendo fermo il principio della sostenibilità finanziaria di tutte le modifiche. La Lega ha già fatto capire che non si accontenterebbe “solo” di deroghe per i lavoratori impegnati in attività gravose.
TRATTATIVA APERTA. Ecco che allora si fa strada l’ipotesi di una transizione in 3 anni – ovvero più lunga di quella proposta inizialmente dal Mef – che ammorbidirebbe l’uscita da Quota 100 passando per Quota 102 nel 2022, Quota 103 nel 2023 e Quota 104 nel 2024. La ricerca di una mediazione deve tenere conto però del limite delle risorse indicate nel Documento programmatico di bilancio che ammontano a circa 1,5 miliardi. Il pacchetto Franco, com’è noto, ha provocato una reazione sdegnata da parte dei sindacati. Da qui la mossa disperata del leader leghista.
Matteo Salvini ieri è arrivato a chiedere un incontro con loro per difendere Quota 100. Cgil, Cisl e Uil, dal canto loro, chiedono di essere convocati dal Governo prima dell’ok alla manovra. Altro cantiere aperto è quello del fisco. A cui la manovra da 23,4 miliardi destina il grosso delle risorse: 8 miliardi. Le distanze tra le forze di maggioranza su come utilizzare le risorse sono notevoli e qualora non si riuscisse a trovare la quadra il governo potrebbe decidere di creare un apposito fondo nella legge di Bilancio e rinviare a successivi provvedimenti le norme. O in alternativa affidarsi all’esame parlamentare.
DISTANZE SUL FISCO. L’obiettivo rimane quello di far partire il taglio delle tasse dall’entrata in vigore della legge di Bilancio, il primo gennaio. Una delle ipotesi sarebbe quella di puntare l’intervento più sulle famiglie che sulle imprese, concentrando le risorse sul taglio dell’Irpef per i lavoratori dipendenti, anche se ancora non è stabilito con quale strumento procedere. Rafforzamento del bonus, intervento sulle detrazioni, una prima revisione delle aliquote sono alcune delle possibilità. E sul tavolo rimane anche l’idea di cancellare il contributo che pagano i datori di lavoro per finanziare gli attuali assegni familiari, visto che da gennaio l’assegno unico entrerà a regime per tutti, dipendenti e autonomi. Eliminarlo aiuterebbe anche le famiglie che pagano il contributo in veste di datori di lavoro di colf, babysitter o badanti.
Lo stesso Franco ieri ha ammesso che sul fisco ancora è tutto da stabilire: “Le modalità di attuazione di questo taglio al prelievo verranno definite nei prossimi giorni e settimane. E’ importante che il governo e il Parlamento lavorino insieme”. Anche sulla nuova Cig si discute. Per i sindacati le ipotesi circolate, che escluderebbero le imprese più piccole fino a 5 dipendenti, non vanno bene. Ma lo schema è in fieri, nelle ultime versioni, comprenderebbe anche i piccolissimi, anche se si starebbe trattando su quanto fare pagare alle diverse tipologie di imprese.