La prima a chiedere agli alleati di coalizione un vertice urgente e chiarificatore era stata lunedì, subito dopo gli esiti disastrosi dei ballottaggi nelle grandi città al voto, la presidente di FdI Giorgia Meloni, convinta che la cocente sconfitta nei due turni elettorali fosse dipesa anche dalla confusione nell’elettorato di centrodestra, disorientato da “tre partiti con tre posizioni differenti”. Imputa invece la débâcle al fatto di aver schierato troppo tardi” i candidati il leader della Lega Matteo Salvini, e poi c’è lui: il “federatore” del centrodestra (o almeno negli ultimi due decenni così è stato): Silvio Berlusconi, che è atterrato martedì sera a Roma, da cui mancava dalle consultazioni che hanno portato alla formazione del governo Draghi.
Ufficialmente l’incontro è stato “cordiale, in un clima di massima collaborazione”: i tre hanno stabilito che d’ora in avanti avranno incontri settimanali per concordare azioni parlamentari condivise, preparare i prossimi appuntamenti elettorali e politici (con particolare attenzione all’elezione del prossimo Presidente della Repubblica) e lavorare uniti e compatti. Ma al di là delle dichiarazioni di rito e dell’immancabile photo opportunity, sorridenti e con ai piedi il cagnolino Dudù, la situazione rimane drammatica, sia all’interno dei partiti stessi che nella coalizione.
UNITÀ DI FACCIATA. Quello ad aver maggiori problemi in casa propria è sicuramente il leader della Lega. Aver perso male nella sua Milano e a Varese – terra fortemente simbolica per la storia del Carroccio – pone Salvini di fronte ad un bivio: o cambiare nettamente strategia, abbandonando i toni da opposizione che hanno caratterizzato sinora la sua azione – compresa l’impostazione suicida di strizzare l’occhio ai No Green Pass – e che hanno dilaniato il partito compresso tra la linea governista dei giorgettiani e dei governatori del Nord, attenti alle istanze dei territori e delle cosiddette partite Iva, o farsi da parte. Ipotesi, quest’ultima che una primadonna come Matteo non si sogna nemmeno di prendere in considerazione, né all’interno del suo partito né della coalizione.
E siamo al secondo nodo cruciale: la questione della leadership del centrodestra in vista del voto alle politiche. Sia Salvini che Meloni hanno dimostrato di non esserne ancora all’altezza, di non avere una visione che possa tenere insieme le diverse anime che compongono il centrodestra e di ragionare più per ripicchette personali (vedi la scelta dei candidati nelle principali metropoli al voto in questa tornata elettorale, coi veti incrociati e scelti al ribasso per non favorire un partito della coalizione piuttosto che un altro in caso di vittoria e i vari sgambetti dal Copasir alla Rai) che per il bene comune.
Di farsi da parte e optare per una personalità terza, più “responsabile” e meno divisiva – uno alla Luca Zaia, per intenderci – non se ne parla. Del resto, però anche Forza Italia ha le sue grane. A fungere da detonatore del malessere che cova da settimane è stata ieri l’elezione del nuovo capogruppo a Montecitorio, dopo che Roberto Occhiuto è stato eletto alla guida della Regione Calabria (leggi l’articolo). La scelta del sostituto Paolo Barelli ha rischiato seriamente di spaccare il gruppo alla Camera, in cui fa rumore il duro sfogo della ministra Mariastella Gelmini: “Sono qui da tanti anni e mi sento di essere profondamente berlusconiana, ma l’ultima stagione del berlusconismo non mi rappresenta e non rappresenta neanche Berlusconi”, il suo j’accuse. Insomma un clima avvelenato un po’ ovunque che lascia presagire che anche nei mesi a venire a destra non sarà tutto rose e fiori.