Benefici agli ergastolani detenuti per reati di mafia o per terrorismo ma solo se contribuiranno a soddisfare il diritto alla verità delle vittime e dei loro familiari. Mentre continua a correre la clessidra per rimediare al colpo inferto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo prima (leggi l’articolo) e della Consulta poi all’ergastolo ostativo, la Fondazione Giovanni Falcone lancia la sua proposta di legge per mettere al sicuro uno strumento basilare nella lotta al crimine organizzato. Con una postilla: fare presto.
FATE PRESTO. Perché se entro maggio 2022, come ha stabilito la Corte Costituzionale decretando l’illegittimità dell’articolo 4 bis dell’Ordinamento penitenziario (leggi l’articolo), che impedisce ai detenuti per reati di mafia e terrorismo di accedere alla libertà condizionata se non hanno collaborato con la giustizia, boss del calibro di Giuseppe Graviano, protagonista della stagione delle stragi, potranno chiedere la libertà vigilata dopo aver scontato 26 anni di carcere.
“Con questa nostra proposta – spiega Maria Falcone (nella foto), presidente della Fondazione che porta il nome del fratello magistrato ucciso nella strage di Capaci – intendiamo dare il nostro apporto a un tema per noi di importanza fondamentale. Il fine è tener conto delle indicazioni della Consulta senza indebolire la lotta alla mafia e senza vanificare le grandi conquiste fatte in questi anni grazie a una legislazione costata la vita a tanti servitori dello Stato”.
Una proposta messa a punto dal presidente del tribunale di Palermo e consigliere della Fondazione Falcone, Antonio Balsamo, e dal magistrato Fabio Fiorentin, tra i massimi esperti di ordinamento penitenziario e che punta a condizionare la concessione dei benefici a mafiosi e terroristi alle loro iniziative in favore delle vittime, alla loro effettiva partecipazione alle forme di giustizia riparativa e soprattutto al loro contributo per garantire il diritto alla verità spettante alle vittime, ai loro familiari e alla collettività.
LIMITI E CONDIZIONI. La proposta prevede, nel dettaglio, la concessione dei benefici di legge “anche in assenza di collaborazione con la giustizia”, purché “sia fornita la prova dell’assenza di collegamenti attuali del condannato o dell’internato con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, e dell’assenza del pericolo di ripristino dei medesimi e sempre che il giudice di sorveglianza accerti, altresì, l’effettivo ravvedimento dell’interessato”.
Non solo. Ai fini della concessione dei benefici, “il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide, acquisite dettagliate informazioni dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza, dal comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica in relazione al luogo dove il detenuto risiede, nonché, nel caso di detenuti sottoposti al regime previsto dall’articolo 41 -bis, anche dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo”. E non è tutto. Con il provvedimento di concessione dei benefici, inoltre, il giudice “può disporre l’obbligo o il divieto di permanenza dell’interessato in uno o più comuni o in un determinato territorio”.
Infine, “il divieto di svolgere determinate attività o di avere rapporti personali che possono occasionare il compimento di altri reati o ripristinare rapporti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e può altresì prescrivere che il condannato o l’internato si adoperi in iniziative di contrasto alla criminalità organizzata”.