È alla fine i nuovi sindaci sono stati eletti, ovunque con lo stesso nome: Signor Astensionismo. Le premesse erano buone, perché aveva fatto il pieno di preferenze anche al primo turno, ma adesso ha voluto strafare, mettendosi in linea con il trend degli ultimi anni nell’intero mondo occidentale, Usa in testa. Così a Roma Roberto Gualtieri è eletto senza che il 59,32% dei concittadini si sia in alcun modo pronunciato. Un dato che fa riflettere e ci porta a dire che il meccanismo dei ballottaggi con polarizzazione bipolare alle amministrative non funziona più come una volta.
Un segnale inquietante non solo in sé, ma per l’intera democrazia rappresentativa e che rivela – per chi sa coglierne la pienezza del significato al di là della solita retorica post voto – che la gente a Roma non si è trovata rappresentata, né dalla destra né dalla sinistra. E coma Roma è stato così ovunque. D’altra parte, se l’offerta dei nomi rimasti al ballottaggio taglia fuori metà degli elettori, alla fine non c’è da meravigliarsi se questi non se la sentino di andare alle urne per il secondo turno. Così la stessa Virginia Raggi, che ha votato solo il lunedì, come Carlo Calenda che l’aveva fatto “mestamente” il giorno prima, sono la fotografia di una parte significativa delle città che restano senza il loro riferimento.
Così, insieme alle due giornate di quasi estate che invitavano ad andare al mare, l’astensionismo vince alla grande, sorretto dalla profonda disillusione per una scelta tra due candidati ugualmente indigeribili. Alla luce di questo trend scatta allora una domanda: senza mettere un quorum che valore hanno questi ballottaggi che nuotano sempre più nella indifferenza più totale? Gualtieri dice che “governerà in nome di tutti i romani”, frase di rito e più che scontata, ma a chi si pone sul serio il problema della rappresentatività democratica questa promessa può bastare? E il sospetto che questa sarà una legislatura delegittimata ab imis da un profondo deficit di rappresentatività democratica resta.