di Filippo Conti
Trattati come scolaretti indisciplinati. Obbligati a mettere i telefonini sul tavolo. Onde evitare di poter comunicare con l’esterno. E magari fare una delle loro temutissime dirette streaming. I 12 deputati grillini che venerdì scorso sono saliti sul tetto di Montecitorio (rimanendoci tutta la notte, fino a sabato pomeriggio) per protestare contro il ddl sulle riforme costituzionali sono stati sospesi per cinque giorni dall’ufficio di presidenza della Camera. La scena, per come la raccontano i parlamentari a 5 stelle, è stata simile a quella di liceali convocati dal preside. Non li hanno presi per le orecchie. Ma il clima era quello. Una protesta, hanno spiegato i deputati questori, costata 3.880 euro allo Stato. Ma i grillini non sono stati multati. Solo sospesi. Come a scuola. “Ci hanno trattato come studenti ribelli. E loro a fare la parte dei professori”, raccontano i grillini. “Volevamo spiegare le ragioni del nostro gesto, che è stato un atto non violento per attirare l’attenzione di un sistema mediatico troppo colluso col potere. Dovevo parlare per 15 minuti, ma dopo un minuto mi hanno interrotto. Era come se avessero già deciso. E’ stato come essere imputati in un processo e questo non ci sta bene”, racconta Alessandro Di Battista. “Si è trattato di un vero e proprio processo sommario, con una decisione comunicata prima alla stampa che a noi”, aggiunge Carlo Sibilia, uno dei 12 in questione.
Non tutti i deputati dell’ufficio di presidenza erano d’accordo. Il leghista Davide Caparini, per esempio, si è astenuto. All’inizio la richiesta era addirittura di 7 giorni di sospensione “perché l’atto è stato di eccezionale gravità”. Poi si è scesi a cinque. “Mi è sembrato di rivivere quello che accadeva ai radicali negli anni Settanta. E ho provato disagio”, scrive su Twitter il democratico (ex pannelliano) Roberto Giachetti.
Integrazione difficile
Oddio, che i grillini siano trattati un po’ come studenti in gita scolastica è stato evidente fin dal primo giorno di legislatura. Bastava vedere come venivano squadrati dai commessi di Montecitorio durante le prime sedute. Sguardi di sufficienza e scuotimento di teste. Loro, a dir la verità, non facevano nulla per farsi amare. Abbigliamento ultra casual, sgarbati con giornalisti e funzionari troppo zelanti, intruppati come un piccolo gregge. Tanto che tra i cronisti (che i primi giorni fanno sempre fatica a memorizzare i nuovi arrivati) si è subito stabilito un metodo di individuazione: se sono vestiti male sono grillini. I rapporti erano talmente tesi che a un certo punto i deputati stellati hanno chiesto di bandire i giornalisti dal Transatlantico. “Dovreste stare solo in sala stampa”, dicevano. Suscitando l’immediata levata di scudi dell’associazione della stampa parlamentare. Poi, col passare del tempo, i rapporti sono migliorati. E ora la maggior parte di loro, che ora ha l’ardire di muoversi singolarmente, si ferma volentieri a chiacchierare con gli altri deputati e i giornalisti.
Forse, però, non è migliorato il rapporto con l’istituzione. Continuano a essere tenuti sotto osservazione. Lunedì lo stesso Di Battista è stato zittito a brutto muso da Laura Boldrini per aver usato in Aula la parola “ladri” rivolta a Pd e Pdl, con sospensione immediata della seduta. Altre volte sono stati richiamati per aver mostrato volantini e cartelli. Ma quello che proprio non va giù al Palazzo è l’uso smodato dei tablet e smartphone, con foto scattate un po’ ovunque, anche in Aula. Per questo motivo il provvedimento di ieri ha il sapore della vendetta della politica nei confronti dell’antipolitica. Delle istituzioni verso chi disturba il manovratore. O, se preferite – visto chi siede sullo scranno più alto di Montecitorio – della maestrina con la penna rossa nei confronti di alunni indisciplinati. Che si sono permessi di salire sul tetto per protestare.
E così ecco arrivata una bella sospensione. Senza passare per la nota sul diario da riportare firmata dai genitori.