C’è chi come il governatore veneto Luca Zaia continua a negare l’evidenza, “Il dibattito c’è, come in ogni altro partito. Ma non ci sono due, tre o quattro Leghe. La Lega è una, è la Lega punto e basta”, ha dichiarato anche ieri. La Lega sarà pure una – lettura in ogni caso stridente con quello a cui assistiamo quotidianamente ormai da mesi, cioè il ministro Giorgetti da una parte col suo filo governismo estremo e il segretario Salvini dall’altra, sempre più insofferente e in sofferenza – ma la confusione è tanta al suo interno. O meglio: la bussola è totalmente smarrita e l’affaire Morisi (leggi l’articolo) certo non aiuta.
Come non aiutano le dichiarazioni del leader della Lega che continua imperterrito a perseguire una linea fortemente critica Green Pass e super aperturista: anche ieri, commentando la decisione del Portogallo di riaprire tutto dal 1 ottobre ha polemizzato col titolare della Salute Speranza – nulla di nuovo – tirando però in ballo, stavolta, anche il premier Draghi: “Tutta Europa riapre e noi no. Vorrei capire da Speranza e da Draghi perché no”.
Che i nervi siano tesi dalle parti di Via Bellerio è evidente, i nodi e le contrapposizioni stanno emergendo prepotentemente, in maniera evidente. Ma il peggio deve ancora venire: se, come si prospetta, il centrosinistra dovesse fare cappotto alle amministrative ormai imminenti vincendo nelle principali città italiane, nella Lega sarebbe il diluvio.
DOPO IL VOTO IL DILUVIO. Formalmente la débâcle sarebbe di tutto il centrodestra visto che hanno presentato candidati sindaci unitari un po’ ovunque ma chi ha da perdere veramente è la Lega dilaniata al suo interno e nella coalizione dove i rapporti con FI e FdI non sono esattamente idilliaci e ognuno gioca per sé. Dopo “l’endorsement ai candidati sbagliati” (copyright FdI) di Giorgetti (sempre lui) Salvini e Meloni si sono affrettati a elogiare Michetti e Bernardo ma la verità è che – come ha dichiarato senza mezzi termini il titolare del Mise – a Milano potrebbe essere riconfermato Sala già al primo turno e, per quanto riguarda Roma, ha solo messo nero su bianco quel che da giorni è il sentiment interno alla coalizione: l’inadeguatezza del candidato scelto dalla Meloni.
Ma il vice segretario del Carroccio si spinge oltre e non nasconde, nella Capitale, la preferenza personale verso Carlo Calenda (leggi l’articolo) e sull’esito di un eventuale ballottaggio fra il candidato del centrodestra e quello dem è chiaro: vince Gualtieri. Che è poi il pronostico che aleggia un po’ in tutti i partiti e fra i principali sondaggisti italiani, a cui si aggiunge la vittoria quasi certa di Manfredi a Napoli – sostenuto da tutto il centrosinistra, dal Pd al M5s – e di Lepore a Bologna – anche in questo caso appoggiato da tutto il fronte progressista compresa Italia Viva -.
Un po’ più aperta la sfida a Torino dove il centrodestra appoggia il civico Damilano – che però è un civico in senso stretto, dato che era già in campo da solo con la sua lista “Torino bellissima” prima che Lega, FdI e FI decidessero di convergere su di lui – e dove il leader del M5s Conte ha escludo di far confluire i voti del Movimento sul candidato del Pd Lo Russo in un eventuale ballottaggio. Intanto Salvini mette le mani avanti, e non è un bel segnale: “Il successo del centrodestra si calcolerà in base ai risultati ottenuti nei 1.154 comuni che il 3 e 4 ottobre andranno al voto – prova ad argomentare – Nelle elezioni amministrative chi vince e chi perde lo si giudica contando i sindaci che uno aveva prima e quanti ne ha dopo, è matematico”, come se Milano o Roma avessero lo stesso peso di realtà con qualche migliaio di abitanti.