Un finale già scritto: non era ipotizzabile che il premier Draghi di fronte al pressing che va avanti incessante da settimane affinché il sottosegretario leghista Claudio Durigon lasciasse il suo incarico potesse lasciar correre. Sotto attacco ormai da chiunque per la proposta di intitolare al fratello di Mussolini il parco Falcone e Borsellino di Latina alla fine il fedelissimo salviniano ha fatto un “passo di lato per evitare che la sinistra continui a occuparsi del passato che non torna, invece di costruire il futuro che ci aspetta”, così si legge nella lettera aperta scritta a tarda sera dall’esponente del Carroccio.
“Ho dovuto constatare sulla mia pelle, con grande amarezza, che esistono professionisti della strumentalizzazione che hanno usato le mie parole per attribuirmi a tutti i costi un’etichetta che non mi appartiene”, continua, e qui si arriva al punto clou: “Si tratta di un’operazione non posso più tollerare e aggiungo che tutta questa polemica sta diventando l’alibi di chi, in malafede, intende coprire altri problemi: mi riferisco in particolare ai limiti del Viminale (più di 37mila sbarchi dall’inizio dell’anno contro i 17.500 del 2020 e i 4.800 del 2019, per non parlare dello scandalo del rave abusivo), o delle incredibili parole di Giuseppe Conte sul dialogo con i talebani”.
Ed è proprio il riferimento alla ministra Lamorgese, oggetto di attacchi quotidiani da parte di Matteo Salvini, che viene immediatamente cavalcate dallo stesso leader leghista: “Contiamo che questo gesto di responsabilità e generosità induca a seria riflessione altri politici, al governo e non solo, che non si stanno dimostrando all’altezza del loro ruolo”. Parole che lasciano pochi dubbi su quanto la vera contropartita che ha in mente il Capitano per il sacrificio del suo uomo forte nel Lazio – e per l’inevitabile danno d’immagine del suo partito non sia solo e non tanto piazzare un altro leghista al Mef – si fa il nome del leghista veneto Massimo Bitonci – ma quello di minimizzare i danni alzando ulteriormente la posta.
L’optimum sarebbe stato avere “in cambio” la testa della Lamorgese ma non potendo ottenere il risultato sperato – Draghi su questo è irremovibile e persino l’alleato forzista Antonio Tajani ha affermato che la titolare dell’Interno può rimanere dov’è – l’obiettivo diventa quello di “marcarla a uomo”con un fedelissimo che risponde al nome di Nicola Molteni, già suo braccio destro ai tempi del Viminale, riconfermato sottosegretario anche nell’attuale esecutivo ma al quale è stata assegnata sinora solo la delega per le materie di competenza del dipartimento della pubblica sicurezza, con un’esclusione rilevante: il leghista non si occupa di immigrazione, polizia delle frontiere e diritto d’asilo, rimaste in capo alla titolare del Dicastero.
E proprio qui si gioca la partita. Salvini prende tempo, e contestualmente alla dichiarazione che ci sarebbe stato a breve un incontro vis à vis con Durigon per “valutare insieme come andare avanti nella massima serenità”, ergo per indurlo al passo indietro – e così effettivamente è stato – ha chiesto al premier un incontro a tre con lui e la Lamorgese che dovrà servire soprattutto a ottenere le tanto agognare deleghe “pesanti” per Molteni, facendo passare l’operazione per una sorta di “commissariamento” de facto della ministra, anche perché la leader di FdI Giorgia Meloni, con le mani libere di chi sta all’opposizione, ha annunciato una mozione di sfiducia nei suoi confronti, cavalcando l’onda di un malcontento estremamente diffuso nell’elettorato di destra per una gestione del Viminale – occorre ammetterlo – con poche luci e molte ombre.