Ad anticiparlo senza troppi giri di parole, nell’audizione congiunta col ministro della Difesa Lorenzo Guerini martedì alle commissioni riunite di Camera e Senato (leggi l’articolo), era stato il titolare della Farnesina Luigi Di Maio: “Dopo che gli americani avranno lasciato l’aeroporto Di Kabul non sarà possibile, né per noi né per alcun Paese dell’Alleanza, mantenere una qualunque presenza allo scalo”. E così sarà.
Mentre Biden in sede di G7 confermava la volontà di rispettare la deadline fissata per il ritiro delle forze Usa dal territorio afghano (leggi l’articolo) riconquistato dalle milizie talebane, il governo italiano aveva ben chiaro che le operazioni di evacuazione avrebbero dovuto essere completate con la massima solerzia: l’ultimo volo italiano con civili afghani a bordo dovrebbe partire tra domani e dopodomani.
IL PRESSING. A quanto riferisce la ministra belga della Difesa, Ludivine Dedoner, gli Stati Uniti hanno chiesto a tutti loro alleati di concludere le operazioni di evacuazione dall’aeroporto di Kabul entro domani. “Devono evacuare le truppe e portare via il materiale entro il 31 agosto, pertanto hanno chiesto che le altre nazioni finiscano prima, il prima possibile”, ha spiegato. I governi degli stati europei hanno assicurato – pur fra mille difficoltà – di riuscire a terminare in tempo le operazioni. Una vera corsa contro il tempo.
Dal giugno scorso (leggi l’articolo), quando con l’operazione Aquila 1 furono portati in Italia 228 afghani, sono 4.400 i cittadini del paese asiatico messi in sicurezza (qui l’aggiornamento della Difesa), 3.959 (di cui 921 donne e 1.004 bambini) quelli giunti in Italia negli ultimi undici giorni grazie all’operazione Aquila Omnia, disposta dal ministro Guerini e pianificata e diretta dal Comando operativo di vertice interforze (Covi), comandato dal generale Luciano Portolano, con 1500 soldati italiani in campo, 8 aerei, 3 KC767 che si alternano tra l’area di operazione e l’Italia e 5 C130J, questi ultimi dislocati in Kuwait, da cui parte il ponte aereo per Kabul.
E sono almeno 82.300, secondo la Bbc, le persone evacuate in totale dalle forze alleate, ieri i militari americani hanno fatto uscire dal Paese quasi 20 mila sfollati, mentre Londra, seconda per numero di soccorsi, è arrivata in totale a quota 10 mila da inizio operazioni. Ma sono ancora migliaia – si parla di oltre 10mila – le persone accalcate intorno all’aeroporto della Capitale nella speranza di riuscire a imbarcarsi su uno dei voli che stanno portando fuori dal Paese cittadini stranieri, afghani vulnerabili ed ex collaboratori delle missioni internazionali. Chi rischia di più dalla decisione di Washington sono proprio questi ultimi: i cittadini locali – si parla di quasi 300 mila persone – che nel corso della missione negli ultimi 20 anni hanno collaborato con gli stati della Nato.
CHI RIMANE RISCHIA. Nonostante in questi giorni si siano riuscite a salvare decine di migliaia di persone dalla possibile repressione del nuovo regime estremista, molte di queste rimarranno dentro i confini visto che, come affermato da esperti diplomatici e militari, sarà pressoché impossibile riuscire a salvare tutti i collaboratori entro il 31 agosto. Ne è ben consapevole Angela Merkel: la Germania continuerà a evacuare le persone dall’Afghanistan finché “sarà responsabile farlo”, ha spiegato la cancelliera tedesca parlando al Bundestag, aggiungendo, tuttavia, che ciò sarà possibile solo sino a quando saranno presenti sul territorio gli Stati Uniti. In ogni caso, ha nuovamente ribadito, “bisogna continuare i colloqui con i talebani per continuare a proteggere le persone anche dopo l’evacuazione delle truppe Usa e Nato”.
L’ambasciatore tedesco Markus Potzel, che sta trattando per l’evacuazione dei civili da Kabul, ieri ha annunciato che i talebani hanno assicurato che gli afghani dotati dei necessari documenti potranno lasciare il Paese anche dopo il 31 agosto. Ma le violenze non hanno termine: molte le testimonianze di pestaggi e spari da parte dei talebani, che hanno istituito un posto di blocco a 5 chilometri dall’ingresso nord dell’aeroporto, dove è radunata la maggior parte dei civili in fuga. E la minaccia terroristica resta alta, con “pericolo concreto di un attentato” nello scalo: secondo quanto dichiarato dal segretario di Stato Usa Antony Blinken e confermato da funzionari della Difesa britannici, stanno aumentando le minacce da parte dell’Isis-K, il ramo dello Stato islamico attivo nell’Asia meridionale, nemico dei talebani.