Morti, violenze, donne costrette a vivere nel terrore e senza diritti, eliminazione di qualsiasi forma di dissenso e distruzione dei monumenti. Quanto accaduto ieri in Afghanistan (leggi l’articolo), a tre giorni dalla vittoria talebana e dalla totale disfatta dell’occidente, che ha visto vanificati in un batter di ciglia sforzi e spese enormi sostenuti per venti anni, non lascia adito a dubbi: i talebani sono sempre i soliti. Hanno provato a rendersi presentabili al resto del mondo, ma non sono cambiati. E il flop degli Usa e degli altri Paesi che si erano illusi di aver cambiato quel Paese costeranno caro agli afghani più deboli e non solo. Nonostante le rassicurazioni dei nuovi potenti di Kabul, i terroristi infatti stanno già brindando alla ricostituzione di un loro quartier generale.
IL DRAMMA. Ieri nella provincia di Nangarhar la popolazione è uscita in strada con le vecchie bandiere dell’Afghanistan e i talebani non hanno esitato: hanno aperto il fuoco e ucciso 35 persone. Ecco il nuovo corso e i nuovi interlocutori con cui fino a 24 ore fa tanto gli States quanto Boris Johnson, tra i tanti, sostenevano che andava valutata una forma di dialogo. A Jalalabad gli eredi del movimento del mullah Omar hanno fatto un massacro. E le violenze non si sono fermate a quella città. La stessa Emergency ha segnalato, in diverse zone, conflitti a fuoco e violenze sulla folla che tenta di lasciare il Paese.
Spari anche all’aeroporto di Kabul per impedire agli afghani di avvicinarsi agli aerei. Le milizie talebane hanno poi distrutto la statua del leader sciita della comunità degli Hazara, Abdul Ali Mazari, contro il quale avevano combattuto durante la guerra civile del 1992-1996, e, secondo quanto sostengono alcune ong, avrebbero anche arrestato una governatrice di un distretto centrale appartenente a tale gruppo etnico, Salima Mazari. Tutto dopo che, in conferenza stampa, il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, aveva detto che i miliziani non si sarebbero vendicati “contro chi ha combattuto contro di loro”.
L’ALTRO FRONTE. I terroristi esultano. In particolare Al Qaida, che parla di “storica vittoria” dei suoi storici alleati in Afghanistan, anche se per l’Isis i talebani vittoriosi altro non sono che “apostati” traditori e “agenti degli americani”. L’Isis, del resto, in Afghanistan negli ultimi anni ha cercato di creare una propria milizia talebana rivale, minoritaria e con scarse risorse, definendo quella originale una “apostasia”. L’ex presidente afgano, Hamid Karzai, e il capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale, Abdullah Abdullah, hanno intanto incontrato ieri a Kabul un membro dell’ufficio politico dei talebani, Anas Haqqani, al fine di arrivare alla formazione di un “governo inclusivo” in Afghanistan.
LE DEBOLEZZE. L’Occidente, come in precedenza l’Unione sovietica, ha perso in Afghanistan e pure male. Le Nazioni Unite non hanno alcun peso e si limitano a vuote dichiarazioni. Ieri il rappresentante speciale dell’Onu per i diritti culturali, Karima Bennoune, ha così messo in guardia il mondo sul rischio di una ‘’catastrofe culturale’’ dopo la caduta di Kabul in mano ai talebani. “Serve un aiuto urgente da parte di tutti gli Stati – ha detto – per salvare i difensori dei diritti umani e coloro che lavorano in Afghanistan in favore dei diritti delle donne. Serve inoltre aiutare gli artisti a fuggire dal Paese’’. ‘’E’ deplorevole – ha aggiunto – che il mondo abbia abbandonato l’Afghanistan”. Parole al vento.